mercoledì 24 luglio 2013

L’Italia perde i suoi gioielli di famiglia

Bye bye made in Italy, assalto ai grandi marchi

Articolo originale: "L’Italie perd ses bijoux de famille" - di Ariel Dumont apparso su fr.myeurope.infoTraduzione di Claudia Marruccelli per Il Fatto


Addio Riso Scotti, Chianti, Pasticceria Cova, salumi Fiorucci o latte Parmalat! L’Italia spalanca la sua cassaforte industriale e si lascia portar via i gioielli di famiglia. Marchi icone emblematiche della sua fama, nel corso degli ultimi vent’anni, la maggior parte dei suoi fiori all’occhiello sono stati ceduti a grandi gruppi stranieri, in particolare francesi come la holding LVMH.
LVMH si fa un regalo di cachemire

Il mese scorso, il gruppo della famiglia Pinault, che aveva già iniziato lo shopping transalpino nel 1999, appropriandosi di Gucci dopo altre etichette di lusso, ha fatto di recente un’offerta di acquisto per la Pasticceria Cova [di Milano ndt]. I dettagli dell’acquisizione non sono stati divulgati, ma l’affare potrebbe complicarsi. Il gruppo Prada, che sperava di unirsi in matrimonio con il gruppo Cova, si è rivolto alla giustizia italiana per richiedere l’annullamento della vendita. La prima udienza si terrà la prossima settimana. Continuando la sua campagna in Italia, la LVMH ha appena messo nel cestino della spesa anche il marchio del maglificio di cachemire Loro Piana. Costo dell’operazione per il gruppo francese: 2,4 miliardi di euro.

I francesi stanno depredando il settore agroalimentare italiano
Anche il settore agroalimentare è un bel bersaglio. Una buona fetta è finita anche nelle tasche dei francesi. A partire dal Gruppo Lactalis, che ha acquistato la Parmalat. Due anni fa, il gruppo francese Cristalco ha fatto suo il 49% del capitale sociale dei zuccherifici Eridania. Dall’inizio dell’anno hanno cambiato padrone altri tre importanti marchi. Prima Riso Scotti, che ha ceduto il 25% del suo capitale al colosso alimentare spagnolo Ebro Foods per un assegno di 18 milioni di euro. Quindi è toccato all’azienda vinicola Casanova, sottratta da un industriale di Hong Kong specializzato nel settore farmaceutico.
Infine, i pomodori pelati del gruppo Ar Alimentari, primo produttore italiano, sono stati venduti alla società anglo-giapponese Princes, controllata dalla Mitsubishi. Secondo la Coldiretti, la Confederazione dell’organizzazione di produttori agricoli, la fuga dei marchi agroalimentari costa ogni anno alla penisola un giro d’affari di una decina di miliardi di euro. Anche la grande distribuzione non ne è rimasta immune, presa d’assalto da Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin.

Lo spettro delle delocalizzazioni
Nel settore della moda, la Francia ancora una volta fa la parte del leone in Italia. Il brand dello stilista Gianfranco Ferré è stato acquistato da Paris Group, mentre Bernard Arnault si è dato alla gioielleria strappando il colosso mondiale con un fatturato annuo vicino a 1,2 miliardi di euro. Nell’industria, i tedeschi hanno battuto il famoso produttore di moto Ducati, passata sotto l’Audi Cup per 860 milioni di euro.
“Il cambiamento di proprietà spesso comporta lo spostamento di risorse finanziarie della società acquisita, la delocalizzazione della produzione, la chiusura degli stabilimenti e una riduzione nell’occupazione“, ha detto Sergio Marini, presidente dell’associazione degli agricoltori Coldiretti.
Due esempi confermano queste parole: l’acquisto di Parmalat da parte del Gruppo Lactalis, che ha beneficiato del recupero di liquidità dopo il salvataggio del gruppo e l’ondata di licenziamenti negli stabilimenti Fiorucci, acquistati nel 2011 dal gruppo iberico Campofrio.
Come fermare il massacro del made in Italy e frenare la fuga delle grandi marche? ”Creando un settore agricolo totalmente italiano e potenziando il motore industriale utilizzando misure sostenibili” questa la proposta di Sergio Marini. Purtroppo l’esecutivo italiano che ha recentemente appreso del nuovo abbassamento di rating da parte dell’agenzia Standard & Poors non ha davvero la testa per pensare agli investimenti.

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