venerdì 15 marzo 2013

E se gli italiani avessero ragione?

Et si les italiens avaient raison?


di Guy Sorman
Pubblicato in Svizzera l'8 marzo
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano

Di norma comune fuori dell’Italia e specialmente nell’ambito economico e mediatico europeo schernire quei poveri italiani che hanno avuto l’audacia di sbarazzarsi del loro Primo ministro, Mario Monti, economista esperto, e di acclamare due clown (così li ha definiti il londinese The Economist, di solito più cauto), Beppe Grillo e Silvio Berlusconi. La democrazia in Italia non sarebbe forse più apprezzabile se i risultati coincidessero con ciò che auspicano i non italiani, gli eurocrati, il Banco di Francoforte e, soprattutto, il governo tedesco?
Piuttosto cerchiamo di interrogarci sull’adeguatezza della scelta degli italiani: dopo tutto, l’elettore italiano non è né più sciocco né meno qualificato di un elettore spagnolo o francese. Iniziamo dalla disfatta di Mario Monti, economista indiscutibilmente qualificato. Ricordiamo che non era stato eletto, ma è solo stato un tecnocrate chiamato in soccorso da una classe politica disorientata dal proprio debito. Non dovremmo incolpare gli italiani di non aver concesso né consenso popolare né legittimità democratica a Monti, che nessuno immaginava si sarebbe candidato.

Il messaggio dell’Italia vale per tutta l’Europa in crisi: il dispotismo, seppur illuminato, non è, in tempi di crisi, una soluzione tollerata dai popoli. Aggiungiamo che un tecnocrate capace può affascinare gli esperti e allo stesso tempo non essere in grado di spiegare la fondatezza della politica che lui stesso ha imposto alle masse. Ecco la seconda ragione per il rifiuto di Monti: la cosiddetta politica definita di austerità era incomprensibile per i comuni mortali e i suoi risultati visibili solo agli esperti.
Ora chiediamoci come gli italiani hanno avuto il coraggio di rieleggere Silvio Berlusconi, mentre la politica istituzionale europea non voleva più saperne. È che Silvio Berlusconi è perfettamente in sintonia con gran parte della società italiana, soprattutto con il mondo dei piccoli imprenditori che si riconoscono in lui. E questi piccoli imprenditori, che odiano la burocrazia, le leggi e le tasse, rappresentano ancora la spina dorsale dell’economia italiana. Senza queste migliaia di imprenditori disseminati per tutto il paese, l’Italia sarebbe rimasta il povero paese di cinquant’anni fa. L’innegabile successo dell’economia italiana deve tutto a questa classe sociale e quasi nulla allo stato.
Quanto a Beppe Grillo, l’altro clown, quello vero, non occorre dilungarsi: va solo ricordato che il voto di protesta raggiunge facilmente il 20% in tutte le democrazie europee, un fronte del rifiuto che ovunque mette assieme sia l’estrema sinistra che l’estrema destra.
Al di là delle circostanze molto locali che occorre tener presente per capire queste elezioni, il messaggio italiano ha un significato per tutta l’Europa. Gli europei vogliono ora una politica economica che sia comprensibile ed efficace. Una politica siffatta pretenderebbe (lo abbiamo più volte affermato sul nostro settimanale) non l’equilibrio dei bilanci pubblici in sé, ma un tetto di spese massimo, o anche una riduzione della spesa pubblica.
All’estremo, una percentuale d’imposta del 100% che pareggi tutti i bilanci: la Francia non è molto lontana con il 44% del prelievo pubblico e un progetto fiscale del 75%. Aumentare le tasse per pareggiare il bilancio dello Stato non può far altro che distruggere le imprese e i posti di lavoro: le politiche cosiddette del rigore non porteranno quindi ad una ripresa economica, a meno che il rigore non si applichi agli interventi pubblici e non agli investimenti e ai consumi privati.

Ma siccome è più facile aumentare le tasse che ridurre la spesa pubblica, la pressione fiscale aumenta dappertutto: i risultati non sono convincenti. Che cosa accadrebbe, mi si potrebbe obiettare, ai servizi pubblici e alla solidarietà collettiva se la spesa pubblica diminuisse ulteriormente? Beh, sarebbe possibile, o anche necessario – finalmente – privatizzare, snellire e anche incoraggiare la filantropia, questo terzo settore né capitalista né socialista, ma utile e spesso efficace (soprattutto negli Stati Uniti, dove dare è un obbligo morale e sociale per i super ricchi).
Gli italiani avranno quindi fatto una buona azione per se stessi e per tutti gli europei, se sarà compreso il loro messaggio e se da ciò scaturirà un pensiero economico per l’Europa, che sarebbe innovativo, legittimo ed efficace. E’ possibile.

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