giovedì 2 maggio 2013

Il potere secondo Cacciari e il cambiamento degli italiani

La machine théologique-politique qui gouverne l'Italia

di Mario Cifali
Pubblicato in Svizzera il
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano
Cacciari

La macchina teologico-politica che governa l’Italia

Mario Cifali, psicanalista italiano, parte da un recente libro del filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari per denunciare l’ipocrisia e l’impostura che secondo lui spadroneggiano nella penisola da duemila anni.
Massimo Cacciari è un filosofo considerato liberale e populista dall’Italia social-democratica. E’ stato sindaco di Venezia. Wikipedia parla di una sua relazione sentimentale con l’ex-moglie di Berlusconi. Il suo ultimo libro, “Il potere che frena” (Ed. Adelphi) è un best-seller editoriale.

Della seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, precisamente della forza politico-religiosa che frena il dilagare del male e il trionfo del bene, Cacciari fa il suo obiettivo. Scrive a tal proposito un commento filosofico e sacerdotale, o meglio: prende in esame l’eredità cristiana che, secondo Nietzsche, è “la più alta forma immaginabile di corruzione”.
Numerosi filosofi italiani fanno la corte al potere. Cacciari non ne è esente. Il suo discorso, dai forti toni accademici, è prigioniero di un metodo per nulla innocente nel paese del papato, un metodo che sfugge i colpi di martello nietzschiani: “Combattere le bugie più sacre ancor più che qualsiasi altra bugia.”
Prendendo a testimonianza la forza reazionaria dilagante, Cacciari affronta i legami tra teologia e politica, più per combatterne la nevrosi che per metterli in discussione. Poco gli importa che i presunti stati superiori, quelli che la Chiesa valorizza, siano delle credenze deliranti: “Credo perché è assurdo” (Tertulliano). Ha costruito piuttosto un’interpretazione sulla connaturalità tra sovranità politica e teologica. Non secondo le teorie di Freud, per il quale la religione è dipendente della nevrosi infantile, o secondo quelle di Carl Schmitt, per cui i concetti politici sono di origine teologica. Ciò che il filosofo sostiene è un rapporto ambivalente fatto di obblighi e di compromessi tra sovranità religiosa e politica, in cui credere significa non voler sapere.

Figlia millenaria della chiesa romana, la politica in Italia è prigioniera di superstizioni che agiscono all’interno delle masse e dei governanti. Gli antichi dei sopravvivono celati dalla maschera dei nuovi. Cacciari adula gli uni e gli altri senza aprire gli occhi. Evita i pensatori non convenzionali che frugano tra ciò che per venti secoli hanno frainteso, come per esempio Giordano Bruno e, più vicino a noi, gli psicanalisti. E non si azzarda nell’analisi del non sapere, ancor meno in quella del sapere che non conosce: l’inconscio in senso freudiano.
Leggendo questo filosofo, non è chiaro chi nella religione o nella politica incarna la “vera Circe dell’umanità, la peggiore forma morale della volontà di mentire”. Una difficoltà insolubile è infatti al centro delle sue elucubrazioni. La sua retorica blocca la scomoda apertura e piega il dibattito di fondo che mette in contrasto, fin dall’inizio dell’era cristiana, il parlare di amore della verità con la menzogna politico-clericale.
In Italia, il potere che idealizza, sia esso politico o ecclesiastico, tiene il passo alle forze che egli dice di combattere, inadatto a promuovere una lotta di liberazione. In lui, sovranità “spirituale” e “laica” si intrecciano l’un l’altra inzaccherandosi. I principi neri non sono mai bianchi. La maggior parte dei politici sono credenti. Il godimento sessuale non si fa sfuggire nessuno alla sua influenza: che si tratti di un prete, un Papa o un Cavaliere. Gli scandali parlano da sé. Politica e religione governano per i propri interessi. Restare in vita è il loro scopo. Dichiarare “Dio è la verità” – che si tratti di denaro o santità – è più importante rispetto al dichiarare “la verità è Dio”.

Le proposte di Cacciari hanno un merito: rendere tangibile l’impostura della politica giudaico-cristiana. Agostino, Dante e Dostoevskij sono gli scrittori che egli mette in mezzo e sconfigge. Uno vuole detronizzare la sacralità del potere imperiale, l’altro lotta contro il potere ecclesiastico e, nel XIX secolo, il terzo vuole rievocare l’Anticristo. Nello stesso periodo, in Italia vede la luce la personificazione delle altezze e delle profondità senza eguali, né superman né fascista: Zarathustra-Nietzsche. Con lui, la verità dell’analisi affronta i furfanti e le scelleratezze; smonta, come mai prima, gli ingranaggi della macchina teologico-politico.
Nel paese dei Papi, il potere che rallenta è il sintomo. Appoggia la fondatezza del sistema e contemporaneamente proclama che deve cambiare. Tra il messaggio di Gesù, la Chiesa cattolica e i politici italiani, di sinistra e di destra, che fanno la comunione di domenica, c’è più di una ipocrisia, più di una decadenza. Solo una parola di verità, paragonabile a quella di uno Zarathustra, potrebbe infrangere i codici in decomposizione.
Uno può sognare, ma non deve confondersi. Chiedere agli italiani di modificare le proprie credenze è difficilmente immaginabile. La maggior parte non ha alcuna intenzione di cambiare il proprio rapporto di soddisfazione con la religione, la politica e, ultima ma non meno importante, con la donna. In Italia, nessuna riforma profonda e duratura può emergere senza passare prima attraverso un cambiamento individuale. “Sono gli uomini che devono cambiare,” mi ha detto una volta un albergatore di Capua, non lontano da Napoli.

Nessun commento:

Posta un commento