martedì 28 maggio 2013

Vedi Napoli e poi muori

Voir Naples et pourrir

di Marcelle Padovani
Pubblicato in Francia il 16 maggio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Il commissariato San Gaetano si trova ad affrontare una serie di crimini inspiegabili, in una Napoli inedita, piovosa, malinconica e grigia, una città diventata “diffidente, oscura, indecifrabile”, come dice l'ispettore Giuseppe Lojacono, 45 anni. Tre giovani, le cui origini sociali e i luoghi di residenza non hanno alcun legame apparente, sono stati assassinati in meno di dieci giorni.



Nessuna relazione con la camorra, la regina regina locale del crimine, ne’ con un eventuale delitto passionale. Un’unica arma: una banalissima calibro 22, fa pensare che il colpevole non sia un professionista. Un unico indizio: dei Kleenex impregnati di lacrime. La stampa s’impadronisce dell’enigma e ricama su questi fazzoletti bagnati: "lacrime di coccodrillo" versate da un assassino che si è commosso prima di "smembrare le sue vittime”. Questo giustifica il suggestivo titolo scelto da Maurizio De Giovanni, “Il metodo del coccodrillo”, suo settimo romanzo poliziesco dal 2005, data a partire dalla quale ha raccolto numerosi premi letterari e occupato i vertici delle classifiche italiane.
Ma non è la sola particolarità di questo giallo napoletano, che arriva oggi nelle librerie francesi. Sapevamo che ogni grande città o regione italiana aveva il suo proprio autore di thriller - Camilleri per la Sicilia, De Cataldo per Roma, Lucarelli per Bologna, Carofiglio per Bari, Todde per Cagliari - e ora anche Napoli ha anche il suo autore autoctono, in grado di riprodurne il lessico e le atmosfere.
"Ciò che domina la mia città, è l'odore della sofferenza”, dice Maurizio di Giovanni fin dall'inizio. Pur vivendo da sempre in quartieri chic, il suo vero nome infatti è Maurizio De Giovanni Di Santa Severina, lui Napoli la conosce bene. Ed è in questo mondo “borghese”, che racchiude il teatro San Carlo, Piazza Plebiscito, il lungomare di via Caracciolo, il caffè Gambrinus - un vero e proprio monumento - e via dei Mille, che si intrecciano i suoi racconti. "Napoli per me è come una madre invadente e rumorosa, in definitiva impresentabile, ma inevitabile".
Qui nasce questo romanzo doloroso, scevro da qualsiasi folklore e da qualsiasi tentazione gastronomica o sessuale, a differenza dei gialli che si rispettano. L'ispettore è un uomo attirato da due donne estremamente diverse: l’affascinante magistrato, alta e snella, con cui svolge le sue indagini, e la prosperosa proprietaria di una trattoria dove abitualmente cena. Anche se la sua unica vera preoccupazione è sua figlia, che vive in Sicilia in compagnia di una moglie che ha abbandonato il tetto coniugale, quando Loiacono è stato accusato da un "pentito" di aver passato delle informazioni alla mafia.
“Trasformare la sofferenza in cultura” Alla fine del libro non si scoprirà se queste accuse erano fondate, ma sono servite per fare dal nostro ispettore un reietto, un uomo che soffre. Un uomo anziano e imperscrutabile alla stregua dell’assassino, parimenti segnato da qualche tragedia personale e capace di girovagare senza sosta per la città fino al mattino, moltiplicando le indagini e i controlli metodici, sempre rimanendo nell’ombra. 
Il male di vivere è sicuramente l'ingrediente principale di questo libro. E di primo acchito sembra strano che si svolga nella città dei mandolini, dei pini, delle canzoni popolari e della pizza. Ma si capisce subito, parlando con De Giovanni, che invece la vera specialità di Napoli è quella di saper da sempre “trasformare la sofferenza in cultura”. Ed è a causa di questo dolore comune che si stabilirà una comunicazione "intellettuale" tra il boia e il suo inseguitore.
"Il confine tra bene e male è molto sottile," ripete di Giovanni, che sta scrivendo il suo ottavo thriller. Come il suo ispettore, ha uno sguardo penetrante, freddo, e come lui ha anche scelto di condurre una doppia vita: la prima metà della settimana, fa il direttore di banca, e l’altra metà seduto alla sua scrivania racconta le "anime nere" che abitano la città, un tempo la “capitale culturale” italiana.

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