venerdì 13 luglio 2012

Grom, la «success story» di un gelataio in un Paese in crisi


Grom: la Succes story d'un glacier dans un pays en crise

Pubblicato in Francia il 3 luglio 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia dall'Estero

Senza arte né parte, ma soprattutto senza soldi, nove anni fa Federico e Guido hanno dato vita a Grom, diventata in seguito un piccolo impero della gelateria all’italiana. I due ritengono che, nonostante la crisi, l’Italia offra ancora “grandi opportunità”.


 Nel 2003, quando decidono di aprire la loro prima gelateria a Torino, i due amici non hanno ancora compiuto trent’anni.
Guido Martinetti, che oggi ha 37 anni, è stato l’ideatore, come racconta il suo socio Federico Grom, 39 anni, all’AFP [Agence France Presse N.d.T.].
Dopo aver letto un articolo in cui Carlo Petrini, fondatore del movimento ecologico ed enogastronomico Slow Food, si rammaricava di non trovare più “gelati fatti con materie prime di qualità”, Guido, enologo di formazione, si ripromette di smentirlo e parla all’amico del suo progetto.

Federico, che allora era direttore finanziario di un’azienda, lo prende in parola e prepara su “basi poco solide”, come ammette lui stesso,  un business plan. 
“Un primo problema era che nessuno dei due sapeva fare i gelati, ma il principale era che non c’erano soldi” dice sorridendo Federico, il cui look casual da uomo d’affari stona con quello di Guido, in jeans, polo e scarpe da ginnastica.
Federico mette nel progetto il cognome e i suoi risparmi, 32.500 euro. Guido chiede un prestito per la stessa cifra.



Oggi i due amici, che hanno ceduto il 5% della società al produttore di caffè Illy e un altro 5% al loro socio giapponese, sono a capo di 58 gelaterie in Italia, in Francia, negli Stati Uniti e in Giappone.
Nonostante la crisi, che li ha colpiti nel bel mezzo della loro avventura, il loro giro d’affari è salito dai 250.000 euro del 2003 ai 30 milioni attuali.
Il loro credo: produrre gelati artigianali come [si facevano] una volta, con la “fissa della perfezione”, delle materie prime di qualità, ma senza costi eccessivi: due palline di gelato costano 2,50 euro.

Ecco cosa li ha spinti a riconvertire quindici ettari di terreno a Costigliole d’Asti, in Piemonte. Un podere che hanno battezzato “Mura Mura”, che in malgascio vuol dire “piano piano”,  in linea con i dogmi di Slow Food, nato proprio nella stessa regione.
“Il nostro scopo era di coltivare alcuni tipi di frutta per controllare [la filiera] ed ottenere le migliori materie prime, da trasformare poi in sorbetti di prima qualità” spiega Guido, mentre ci fa visitare la proprietà. Qui coltivano, secondo le norme biologiche,  pere, pesche e albicocche, una parte dei meloni e delle fragole che impiegano nei gelati, e  sperimentano nuove varietà.
Tuttavia, alcuni puristi sostengono che quello di Grom non sarebbe vero “gelato” [in italiano nel testo, N.d.T.] artigianale italiano, che deve essere prodotto interamente sul luogo di vendita: [Grom] produce le basi (polpe di frutta, aromi …) a Torino, per poi spedirle nelle filiali dove vengono confezionati i gelati.



La storia di Grom è una delle poche “success story” di cui l’Italia può fregiarsi in questi ultimi anni.
Colpita da una profonda crisi, la Penisola vede moltissimi giovani emigrare all’estero, spaventati da una disoccupazione  galoppante, mentre gli imprenditori continuano a denunciare una burocrazia che soffoca ogni spirito d’iniziativa.
Una visione smentita dai proprietari di Grom, che continuano a credere nel “Bel Paese”. Federico Grom rifiuta il “mito dell’estero” dove “tutto è più semplice” anche se “per un attimo ci ha quasi creduto”, e assicura di aver incontrato “molti più ostacoli burocratici a Los Angeles che non a Torino, a Milano o a Venezia”.
“L’Italia è uno dei più bei paesi del mondo, offre ancora grandi opportunità ed è ricca di talenti” dice, aggiungendo di sperare “che molti giovani possano ancora credere in sé stessi perché è ancora possibile trasformare i propri sogni in realtà”.



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