lunedì 13 agosto 2012

“Trieste, così incurante nella crisi”

«Trieste, si indolente dans la crise»
di Richard Werly
Pubblicato in Svizzera il 10 agosto 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero

Gabriele D'annunzio
“Trieste così incurante nella crisi”. Aperto verso i Balcani, il porto è così impregnato di Mitteleuropa. Nel grande Caffé Tommaseo, la sua identità meticcia ha cancellato i ricordi di Gabriele D’Annunzio e dell’irredentismo degli anni 20. Tra turisti italiani e Yugonostalgia, i suoi cittadini invecchiano restando passivi di fronte alla crisi.
Ha appena concluso il suo discorso. Gli occhi iniettati di sangue, i sottili baffetti ben lisciati, Gabriele D’Annunzio si pavoneggia, sulla foto, nell’uniforme che indossa stranamente con papillon e un pugnale appeso in vita. La sala principale del Caffé Tommaseo, uno dei primi di Trieste, inaugurato all’inizio del 1830 nel grande porto austroungarico, sembrava interamente avvolta di fumo di sigari. All’interno protetta dal sole del mese di agosto 1919: una riunione di eclettici nobili italiani, di avventurieri e disertori dell’esercito sconfitto degli Asburgo. Autore ammirato in tutta Europa, veterano della Grande Guerra appena vinta, il cantore dell’”irredentismo” transalpino ha convocato qui lo stato maggiore della sua “legione”. Obiettivo: riconquistare Fiume - oggi Rjieka in Croazia - e tutti i territori della costa adriatica di popolazione a maggioranza italiana.
Fuori sulla piazza che si affaccia sul porto: una folla eterogenea di volontari, di curiosi e, di ufficiali senza dubbio preoccupati per questa eccitazione. Alle porte dei misteriosi Balcani che si aprono verso il passo di Opicina, Gabriele D’annunzio va ripetendo da più giorni: la giovane Italia, potenza vittoriosa, otterrà con la forza la sua parte dello smembrato impero Austro Ungarico. E poco importa se poi dal promontorio di Miramare, dove si addossano le une alle altre le loro ricche ville, le grandi famiglie di armatori greci, di mercanti armeni, di banchieri ebrei lo prendono in giro. Il “poeta con il casco” - di cui il giornalista francese Albert Londres tesserà ciecamente le lodi una volta che Fiume verrà conquistata nel dicembre 1920 - giura che il suo nazionalismo trionferà sulla diplomazia. Germe del fascismo che sta per nascere.

Sabrina Morena
Matteo, il libraio di via San Rocco incontrato la sera prima nella terrazza dello stesso Caffè Tommaseo, chiude il suo album preferito di vecchie fotografie. Sembrava così lontana, questa febbre nazionalista degli anni Venti nella Trieste meticcia di oggi, bloccata, secondo le parole dello scrittore e viaggiatore Claudio Magris, tra una “venezianità aperta e una Mitteleuropa problematica” …
Sabrina Morena ci ha raggiunti. Drammaturga, autrice di “Viaggio di Caterina”, ispirato al processo, negli anni 1890, di una domestica arrivata dalle campagne friulane e accusata di infanticidio nella Trieste fortunata e cosmopolita, direttrice del festival culturale “S/paesati” dedicato alle minoranze, conferma: ” Trieste resta prima di tutto una città di frontiera, spiega, mentre una giovane solista si accomoda al grande pianoforte a coda. Non è una città di certezze, ma di indecisioni. Il suo universo non è l’Italia, ma l’Europa centrale.”
Ma allora come ha potuto dubitarne D’Annunzio, il poeta guerriero? Nel meraviglioso contesto urbano di Trieste, costruito dai migliori architetti del fiorente impero austro ungarico alle soglie del XIX° secolo, tutto conduce a questa variopinta identità di cui il Caffè Tommaseo è il testimone. Proprio lì accanto: la chiesa bizantina della comunità greca, i cui discendenti si dice posseggano ancora una grossa fetta del patrimonio terriero della città. A meno di duecento metri, di fronte al Canal Grande: l’imponente cattedrale della comunità serba, la principale della città. “Il Tommaseo rappresenta la Trieste avventurosa, miniera di sogni e miraggi, Matteo, il libraio, ce lo aveva già annunciato. Il luogo ideale quindi per raccontare la saga di questo porto ritornato in seno all’Italia nel novembre del 1954, dopo essere stato per dieci anni un “territorio libero” dell’ONU. Addossato a quell’altro muro che divideva l’Europa, quello della Yugoslavia. Seduti su una terrazza, quattro pensionati triestini hanno appena preparato la scacchiera su un tavolino poco distante. Il Piccolo, il quotidiano locale, pubblica il programma dei concerti della sera, in Piazza Verdi, dove dei magazzinieri sloveni e croati si danno da fare. Sabrina Morena, francese da parte di madre, sorride guardando la nostra lista dei bar e dei luoghi emblematici, appena estrapolata da Microcosmi e Danubio, due delle opere di riferimento di Claudio Magris.


L’autore triestino che speravamo di incontrare, avrebbe optato quasi a colpo sicuro per il “suo” Caffé San Marco in via Cesare Battisti, accanto ai giardini pubblici. Un condensato di Italia, inaugurato il 3 marzo 1914 “nonostante l’opposizione del consorzio dei baristi”, in seguito saccheggiato il 23 marzo 1915 dagli sgherri austroungarici. Al Tommaseo, le arringhe irredentiste e folcloristiche di D’Annunzio del dopoguerra, sulle rovine dell’impero sconfitto. Al San Marco, racconta Magris, “la fabbrica dei passaporti falsi per i patrioti antiaustriaci desiderosi di trasferirsi in Italia” dopo il rimpatrio a Trieste, il 2 luglio 1914 della salma dell’arciduca Ferdinando, assassinato a Sarajevo.
Raccontare la città tra questi due bar non è possibile in questo fine luglio. Il Caffé San Marco. chiuso per ferie, ha costretto i suoi clienti abituali ad andare altrove. Con rammarico di Alessandro. Il giovane proprietario della casa editrice Asterios, fondata da suo nonno immigrato greco, voleva invitarci assieme alla sua compagna Eugenia, a gustare un incomparabile caffè Illy, caffè triestino ma ormai di fama mondiale.
La discussione si apre nella sua libreria, di fronte alla sinagoga. Una strana combinazione, quella di una casa editrice alternativa, specializzata in autori contro corrente vicini alla sinistra radicale, e di questo porto paralizzato nel suo patrimonio, dalla popolazione che invecchia, sul lungomare, il Viale Miramare. “Alessandro rettifica “Ci sono due Trieste nella crisi”. Una città in cui tutti si conoscono, tentata dal populismo di destra alla Berlusconi come buona parte d’ Italia, accecata dal denaro facile. E un’altra, in costante evoluzione sotto l’influenza dell’immigrazione e delle nuove generazioni”.

Caffé San Marco
Ritorno al Caffé Tommaseo. Guido, seduto dietro la cassa, è divertito dalla coincidenza. La nostra nuova interlocutrice, la docente slovena Marjia Mitrovic, ha scelto di sedersi, senza accorgersene, proprio sotto a un ritratto di nudo femminile appeso al muro. Colori sgargianti, forme provocanti: l’opposto delle modanature d’epoca dei mobili, delle tovagliette di pizzo e dell’atmosfera un tantino antiquata.
Una buona scelta però. Poichè Marja conosce i cambiamenti! Non si può parlare di Trieste se si dimentica ciò che essa rappresentava per noi yugoslavi negli anni 60-70. Trieste era l’Occidente. La libertà. La società del consumo. E in qualche modo è rimasta così in questo immaginario” spiega la docente universitaria trasferitasi a Trieste dopo lo smembramento della ex-Yugoslavia.
I camerieri anziani del Tommaseo sono d’accordo. Piazza Ponterosso, oggi un parcheggio, non ospitava un tempo uno dei più grandi mercati all’aperto d’Europa? I frigoriferi, le cucine a gas, balle di vestiti si ammassavano sui tetti delle macchine in partenza verso il paese di Tito. Indelebile “Yugonostalgia”: “Non deve meravigliare che Trieste sembri così incurante nella crisi attuale, ammette Sabrina Morena. Ne ha viste parecchie, veramente molte”.


Giorgio Cicogna è il risultato di questo crocevia dei Balcani. Nato a Trieste dove è cresciuto, questo diplomatico, ex collaboratore di numerosi ministri italiani, è il direttore di “Iniziativa per l’Europa Centrale”, un’organizzazione che riunisce diciotto paesi della regione*. La crisi? “Questa città ha accumulato favolose risorse lungo tutti gli anni dei suoi cambiamenti, racconta. E’ fornita di solidi ammortizzatori”. Sua moglie, nata in un altro piccolo angolo d’Europa, la piccolissima regione germanofona del Belgio, aggiunge: “A Trieste è difficile rendersi conto delle difficoltà finanziarie che attraversano la penisola”. Scesa la sera, i ristoranti alla moda sul lungomare sono affollati. Le targhe automobolistiche croate, slovene, serbe indicano quanto il porto continui ad essere una calamita, al di là delle montagne d’Istria. Anche se l’attività, sui suoi binari deserti, è solo il fantasma del traffico marittimo di un tempo.
Come per smentirci, il salone del Caffér Tommaseo si è improvvisamente riempito. Ancorata proprio di fronte Piazza Italia, a una decina di metri dall’ex palazzo della Lloyd Adriatica ora diventato prefettura, una nave da crociera Costa sfida l’enorme gru di scarico, entrata in servizio all’inizio del secolo scorso e ormai monumento storico industriale. Sabrina Morena sorride:” La città ritorna ad essere italiana grazie ai turisti, costretti dalla crisi a limitare i loro viaggi all’estero”, fa notare, indicando sul porto l’ingresso del suo festival, il Teatro Milla, teatro sloveno.
Ex territori irredenti al confine con la ex Yugoslavia 

Eletta recentemente consigliere provinciale del Partito Democratico, l’autrice sa quel che dice:” Trieste non è più la città mercantile di un tempo. Sta diventando sempre più un museo. Occorre rivedere la nostra identità”. I camerieri del Tommaseo si fanno largo tra i tavolini. Il pianoforte ha smesso di suonare da una mezz’oretta. Esclusi i turisti, i triestini che sono si accomodati hanno tutti un’età avanzata. Si dice che due abitanti su tre siano pensionati. Un ambiente ben lontano dalla città in ebollizione, sinonimo di avventura, che D’Annunzio tentava allora di convertire al suo sogno irredentista.
La verità? Melitta Richter, insegnante di letteratura serbo-croata, azzarda un’ipotesi, accomodandosi sotto al vecchio orologio del Tommaseo. “Trieste non è più un punto di partenza. Non esiste più la ferrovia che la collegava a Lubiana. Perdendo i suoi collegamenti di un tempo con l’entroterra balcanico, essa ha perso la sua forza e finge di ignorare i nuovi arrivati, immigrati cinesi, somali, o del vicino oriente”. A conferma di questo cambiamento di tendenza, la statua di bronzo dello scrittore irlandese James Joice, contemporaneo di D’Annunzio, si affianca oggi, sul canale, alle strade piene di negozi cinesi da quattro soldi.
“La vera crisi, per una città leggendaria come Trieste, è essersi normalizzata” il libraio Matteo sorride di fronte ad un caffè ristretto Illy, concludendo in dialetto friulano, di fronte all’Adriatico illuminato dal sole :”Cos ti vol, no si pol!” (Che vuoi, non ci possiamo fare nulla!). * www.cei.int



Nessun commento:

Posta un commento