lunedì 26 novembre 2012

Ritorno di fiamma per il Salone del Gusto di Torino

Retour & considérations sur le salon du goût à Turin

di Jean-Marcel Bouguerau Pubblicato in Francia il 20 Novembre 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli



Il salone del gusto: 1000 espositori, 50 “appuntamenti con il gusto”, con un gran numero di grandi e piccoli imprenditori, produttori nel settore agroalimentare in rappresentanza di 400 comunità provenienti da 100 paesi diversi!


Mettete insieme il “Festival di neu-neu” (storica fiera di Neully-sur-Seine creata da Napoleone 1° ndt), la fiera del libro, quella dell'agricoltura, il mercato del biologico di Boulevard Raspail a Parigi, mescolate, aggiungete un pizzico di sale, pepe, un po’ di spezie esotiche, questo è il salone del gusto di Torino. Ospitato in 80.000 metri quadrati di padiglioni della mecca del taylorismo: la vecchia fabbrica Fiat del Lingotto. I profeti dello sviluppo sostenibile, piuttosto che del taylorismo ispirato alle fabbriche Ford nei primi anni del ventesimo secolo, un’architettura industriale al posto dell’avant-guardismo di Renzo Piano e il Bio al posto delle quattro ruote, tutto ciò fa ben sperare. Il salone del gusto, un evento che vede 1000 espositori, 50 "appuntamenti col gusto", una gran quantità di piccoli e grandi produttori, rappresentanti del mondo dell’agricoltura provenienti da 400 comunità di 100 paesi diversi. Nel 2010 l'ultima edizione del salone ha avuto 200.000 visitatori, di cui il 30% stranieri.


Slowfood
Tutte queste cifre sono già da sole sufficienti a descrivere l’enorme successo dell’azienda, che nasce a Bra, un paesino in provincia di Torino, dove ha vissuto Carlo Petrini, l'uomo che ha inventato e tutt’ora è a capo di Slow Food, ma che in 25 anni è diventato una multinazionale ... del gusto e del saper vivere bene. Questo ex militante di estrema sinistra, che ha partecipato alle manifestazioni dei lavoratori del 1969, continua ad essere affezionato alle sue lotte giovanili. Secondo lui, è ancora necessario cambiare il mondo. E secondo il suo punto di vista "il cibo può aiutare questo cambiamento, in quanto legato a un consumo eccessivo di risorse, a una perdita allarmante della biodiversità, all'inquinamento di aria, acqua e terra, ai cambiamenti climatici, al calo della qualità e della varietà di ciò di cui ci nutriamo, alla crisi dell'agricoltura che continua a lamentare una drastica riduzione del numero di agricoltori, vere e proprie roccaforti delle zone rurali". Per Petrini, "modificando la nostra dieta, scegliendo in base a criteri che rispettino la qualità, l’etica e l’ecologia, possiamo cambiare il mondo", uniformandosi in tal modo alla tesi di Brillat-Savarin secondo cui "il destino delle nazioni dipende da come si nutrono”.



Terra Madre
Ma il vero cuore della manifestazione, è lo spazio dedicato a Terra Madre, festa di colori e prodotti. Terra Madre è una rete organizzata in "comunità del cibo" nei cinque continenti, con lo scopo di promuovere la produzione di cibo "buono, pulito" (ecologico) e pagato al giusto prezzo. Terra Madre vuole dare voce e visibilità ai contadini del mondo.
In mezzo alla folla di italiani di tutte le età, classi intere di adolescenti con maestri e maestre, incontriamo un sikh con il suo turbante, giovani donne giapponesi con i loro (caratteristici) piedini, un mongolo con il cappello a punta, due donne che sembrano essere di origine guatemalteca se si osserva il costume nazionale che indossano, reso famoso da Rigoberta Menchu​​, quando ha ricevuto il premio Nobel, un uomo vestito di blu come i Tuareg, donne con il velo, donne dallo Sri Lanka che presentano la loro linfa di kitul, un liquido che sa di caramello e che pare si sposi bene con il formaggio fresco. Inoltre, degli [espositori] polacchi propongono un miele da bere, che assieme alla vodka era la bevanda tradizionale delle feste paesane, ma i cui produttori oggi si contano sulle dita di una mano.
Poi, passando da uno stand all’altro, si possono gustare tutti i prodotti del mondo: dallo zafferano marocchino di Taliouine alla pasta Katta del Mali, fino ad arrivare alle patate dolci del Perù, che qui scopriamo furono coltivate a quelle grandi altezze per ordine divino ricevuto dal primo inca che nacque dalle acque del lago Titicaca. Ci sarebbero 900 varietà di patate dolci, tra cui l'organizzazione locale di Slow Food ha selezionato le più interessanti. Questo perchè l’altro punto focale da cui trae nutrimento Slow sono le "sentinelle", quei prodotti locali o quelle razze, molte in via di estinzione, che Slow Food ha deciso di tutelare.


Conoscete in Francia il manzo mirandese di Gers (del nord est del Portogallo ndt), la Brousse di Rove (un formaggio a pasta molle di latte caprino ndt), il vino Rancio sec della regione Roussilllon, le lenticchie Saint-Flour, la rapa nera di Pardailhan, la carne di pecora Barèges-Gavarnie (specialità DOC dei Pirenei ndt), il pélardon stagionato (formaggio caprino della regione Languedoc-Roussillon)?
Prodotti locali di tutto il mondo
No, allora sicuramente non conoscerete nemmeno il piccolo granchio Aratu del Brasile, la palamita toscana o anche, il Warana degli indiani Sateré Mawé dell’ Amazzonia, una mitica pianta nota a questo popolo, dall'alto contenuto di guaranina, presente in questa liana in parte selvatica e dagli effetti energizzanti e analgesici senza pari nel mondo vegetale: meglio della Red Bull, che sconvolge le discoteche di tutto il mondo e stuzzica l'appetito di aziende come la Pepsi!
Qua e là, naturalmente, si possono assaggiare prodotti della piccola e grande gastronomia, provenienti da tutti i territorio, dove gli italiani sono i più rappresentati: 179 sezioni contro le 3 dell’ Argentina e solo 10 della Francia, ma questo è un’altra questione. I prodotti francesi, comunque sono presenti in gran numero, si va dalle “navettes di Six-Fours-les-Plages” (biscotti artigianali provenzali ndt) al prosciutto di Bayonne, fino agli straordinari caffè prodotti artigianalmente. Ad ogni stand, la una storia: c’è quella di Claudio Coralli, appassionato di caffè e cioccolato che si è trasferito in Africa, nello Zaire, da cui però è dovuto fuggire verso le isole di Sao Tome dove si coltivano i chicchi migliori.
Ogni regione italiana ha il suo spazio, il suo stand, i suoi seminari, ristoranti, aree di enodegustazione. Si può anche sposare l'odore del sigaro toscano della mozzarella di bufala affumicata con i vini "passiti" e liquorosi. I cuochi di fama come il bravissimo Fulvio Pierangelini, il cui ristorante Gambero Rosso, è stato a lungo il migliore d'Italia, fino a quando decise di chiuderlo. Non solo ha condotto un laboratorio del gusto dove si possono vedere studenti che annusano odori e assaggiano polveri strane, ma ha anche presentato la sua celebre “Passatina di ceci e gamberetti” all’interno di uno di questi workshop dal titolo "piatti che hanno fatto parlare di sè"



Considerazioni su Slow Food in Francia
E se, nella gastronomia, noi fossimo davvero arroganti, come spesso gli stranieri ci rimproverano a proposito di altri settori? Se, a forza di considerarci l’ombelico del mondo gastronomico, stessimo perdendo un bel po’ di belle occasioni? A riprova di ciò la scarsa presenza francese al salone del gusto di Torino, la manifestazione di Slow Food. Naturalmente, c’erano anche stand francesi: come in qualsiasi fiera erano presenti numerosi prodotti DOC, è stato possibile incontrare alcuni chef che fanno parte di questo movimento come Arnaud Daguin, ma a parte queste poche eccezioni, la presenza francese all’interno dei workshop e dei seminari era davvero ridotta. Dove erano i grandi cuochi? I Ducasse, Bras, Gagnaire? Dov’erano i rappresentanti dell’ultima generazione, i Bertrand Grébaut, Alexandre Gauthier, Eric Guerin? Mentre il numero delle adesioni cresce a ritmo esponenziale, quello dei membri francesi è fermo drammaticamente intorno a 2000, tre volte meno rispetto alla Germania!
Quando chiediamo il motivo di queste carenze francesi a Carlo Petrini, questi risponde un po’ evasivamente facendo riferimento all’avversione dei francesi per il nome inglese, il che non è sbagliato, ma non è abbastanza per spiegare questa mancanza di entusiasmo. Secondo Jean Lhéritier che presiede i centri di Slow Food nel nostro paese è "la Francia che ha inventato il INAO, la DOC e l’IGP italiane, ci sono dappertutto confraternite, congregazioni professionali per quasi tutti i prodotti. Tutto questo fa in modo che non sia facile creare un movimento di spessore che riguardi i prodotti dell’agroalimentare in questo paese. Tanto più che il messaggio è molto confuso, ad esempio da voi ci sono le catene di fast food che si fanno pubblicità con lo slogan "Da noi, c’è il gusto," senza che nessuno abbia da ridire". Che Quick (il MacDonald francese ndt) si possa permettere senza reazioni apparenti, questo tipo di pubblicità in un paese dove il "pasto gastronomico dei francesi” è stato recentemente registrato come patrimonio dell’umanità, dimostra abbastanza i nostri limiti! Tanto più che la realtà di questa gastronomia è meno brillante: 7 scuole su 10 utilizzerebbero i prodotti industriali per cucinare i pasti scolastici, come testimoniano gli acquisti fatti alla Metro da numerosi "ristoratori": pesce surgelato, cosciotti d’agnello dolci sottovuoto, dolci precotti. Forse abbiamo ancora un bel po’ di lavoro da fare a casa nostra, per realizzare uno Slow Food tutto francese.
Sono stato anche io socio Slow Food per un certo tempo, e mi sono trovato a condividere più di una volta alcuni pasti, per la verità non proprio eccellenti, con altri soci del mio quartiere. Dove era il coinvolgimento dei cittadini in queste attività? Che siano gli stessi sintomi che fanno si che la Germania sia molto in vista per il suo impegno in ecologia, mentre in Francia i "Verdi" non riescono ad a venir fuori dalla propria complicata situazione in politica?


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