Faute d'idées pour reconquérir l'Italie, Silvio Berlusconi crie au complot
di Philippe RidetPubblicato il 2 gennaio 2013 in Francia
Traduzione di Claudia Marruccelli
Silvio Berlusconi ha iniziato il 2013 così come aveva finito il 2012: in televisione. Comparendo a ripetizione su tutti i canali televisivi, nazionali e locali, di stato e privati, il magnate dei media ha intenzione di sfruttare appieno questo periodo prima che si apra ufficialmente la campagna elettorale, 45 giorni prima del voto previsto per il 24 e il 25 febbraio, quando sarà la par condicio a regolare la durata degli interventi televisivi di tutti i candidati. In base ad alcuni sondaggi a lui solo noti, ritiene che la sua offensiva mediatica abbia permesso al suo partito, il PdL, di riprendersi 4 punti passando dal 16% al 20% delle intenzioni di voto. E’ davvero pochino, dopo due settimane di sforzi quotidiani.
Questa potrebbe essere l’ultima campagna, quella di troppo, per l’ex Presidente del Consiglio, stretto nella morsa tra il PD, la lista “Monti” – appoggiata dall’ex Primo Ministro – e quella del comico e blogger Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle. La sua difficoltà si può riassumere in un’unica domanda: come inventare una nuova storiella, qualcosa di inedito da raccontare agli italiani, quando non è mai riuscito tutte le volte che lo hanno votato a tramutare in realtà i sogni che proponeva loro? Per quanto si sforzi, il Cavaliere non trova soluzioni.
La proposta di ritirarsi dalla campagna se Monti avesse accettato di guidare un ipotetico “partito dei moderati” che includesse il partito secessionista e anti-immigrati della Lega Nord era solo un’esca, che rivela le sue concrete difficoltà nel trovare una collocazione innovativa nella sua sesta campagna elettorale dal 1994, e forse anche un po’ di stanchezza.
Monti, “un tecnico che è diventato un leaderino”
La sua strana campagna è indice del suo imbarazzo. All’inizio ha tentato di giocare nuovamente la carta della lotta al “comunismo”, che gli aveva portato fortuna nel 1994. Ma la personalità del segretario Pierluigi Bersani, leader della sinistra, riformista e avvezzo all’economia di mercato, non si presta molto a questa mossa. Poi ha cercato di scaricare sull’euro le responsabilità di tutte le difficoltà del Paese: quest’euro “germanocentrico” la cui salvezza avrebbe imposto agli italiani una cura di rigore ingiustificata ai suoi occhi. In ultimo ha deciso di delegittimare Monti, “un tecnico diventato un leaderino tra tanti altri”, ma l’eco diffusa dai media per ciascuna delle misure adottate dal Professore smentisce per il momento questa analisi.
Costretto ad aggiustare il tiro della sua strategia di giorno in giorno, alla fine gli resta solo la teoria del complotto per attirare l’attenzione su di sé e coalizzare i suoi sostenitori. Stando a lui, la sua caduta nel novembre del 2011 sarebbe frutto di una congiura di palazzo in cui Mario Monti e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per assecondare interessi stranieri, avrebbero cospirato contro di lui.
I due devono fare attenzione, perchè Berlusconi ha intenzione di istituire una “commissione d’inchiesta” che faccia luce sulle loro responsabilità in una vicenda che secondo lui ha tutte le apparenze di un tradimento. Il Cavaliere non lo ha ancora annunciato, ma sembra pronto ad aggiungere a questa prima lista i nomi di Mario Draghi, Presidente della BCE, José Manuel Barroso e chissà, forse un giorno, anche quelli di Barack Obama, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Tutti colpevoli di aver avuto delle riserve sulla politica da lui adottata all’epoca.
Un fuoco d’artificio al giorno
Così facendo, Berlusconi finge di dimenticare che la fine del suo regno era stata apertamente annunciata dagli scandali che hanno riguardato la sua vita pubblica e privata, dagli attacchi del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, a cui sarebbero bastati solo tre voti per far cadere il Cavaliere nel dicembre del 2010, e dalle sconfitte elettorali in occasione delle amministrative del maggio 2011, quando il PdL ha perso il feudo di Milano a vantaggio della sinistra. Un bel po’ di argomenti che avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme sulla fragilità della sua posizione.
Nel suo fortino di Arcore, cittadina della cintura milanese in cui possiede una sontuosa dimora, il Cavaliere ha deciso di sparare un fuoco d’artificio al giorno senza neanche tentare di concedersi un pizzico di coerenza, spiluccando nei programmi altrui alla ricerca di ciò che possa sembrargli innovativo. Da qui la sua proposta di limitare a due il numero dei mandati per i parlamentari, copiata pari pari da Beppe Grillo, il più accanito dei suoi nemici.
A questa difficoltà tattica si aggiunge una situazione intricata dal punto di vista strategico. La Lega Nord, alleata storica da vent’anni, rifiuta ogni alleanza con lui. Compromesso dagli scandali legati al suo fondatore Umberto Bossi, il partito, ormai guidato dall’ex Ministro degli Interni Roberto Maroni, ha intenzione di rifarsi la verginità all’interno della propria base elettorale dell’Italia del nord, dove governa già in Piemonte e nel Veneto, e per questo motivo è pronto a sacrificare qualche poltrona a Roma presentandosi da solo alle elezioni. Siamo ad una svolta.
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