L'Italie, Beppe Grillo et le coût de la paralysie
di Pierre de Gasquet
Pubblicato in Francia l'8 aprile 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli
La terza economia nell'area dell'euro è stata presa in ostaggio da un movimento di protesta che ha come unico obiettivo indebolire i partiti tradizionali.
Sei settimane di perdite, tre mesi di governo provvisorio e l'Italia, terza potenza economica economica della zona euro, si ritrova ad essere ostaggio di un movimento di protesta che ha fatto dell'indebolimento dei partiti il suo obiettivo prioritario... Unico apparente vincitore delle elezioni legislative del 24 e 25 febbraio, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo (M5S) è riuscito finora a far deragliare qualsiasi tentativo di formazione di un governo. Ma si tratta di una vittoria a doppio taglio. Oltre al rischio di instabilità politica, c’è la minaccia di stallo permanente di un'economia fortemente indebitata che comincia a preoccupare, cosa che farebbe crollare il fragile equilibrio messo in discussione da Mario Monti.
"Più che Cipro, è il fattore Grillo che diventa il vero problema dell'Unione europea," ha recentemente dichiarato l’economista di Goldman Sachs, Jim O'Neill, dopo avergli dato inizialmente il beneficio del dubbio. “L'Italia è completamente ferma. Le aziende chiudono. Aumenta la disoccupazione. E la politica perde tempo” dice Matteo Renzi in un'intervista del 4 aprile al Corriere della Sera. Candidato perdente delle primarie della sinistra nel 2012, ma ora considerato come il potenziale di "rimedio" più credibile dal 55% degli italiani, il sindaco di Firenze ha abbandonato le riserve criticando la nomina di un collegio di dieci saggi chiamati a gettare le basi per un programma di governo bipartisan di emergenza.
Puro spreco di tempo? Dopo il fallimento della diplomazia "morbida" di Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi sembra ora una delle pochissime risorse “agguerrite” credibili, anche se la sua proposta di compromesso con lo schieramento di Silvio Berlusconi è ancora confusa. È anche uno dei pochi ad aver denunciato l’"arroganza" del M5S di Beppe Grillo quando afferma "il diritto alla dignità della politica”. In un certo senso, la sua esternazione riflette l’esasperazione di gran parte degli ambienti economici che iniziano mettere in dubbio la validità della politica di ostruzionismo sistematico dell’ M5S.
"Coloro che hanno votato per il M5S, credendo di poter fare un accordo di governo con i vecchi partiti, hanno sbagliato voto. Che votino per un partito, la prossima volta!” martella Beppe Grillo rifiutando qualsiasi dialogo con il Partito Democratico (PD). Anche se la stampa italiana evoca un malessere o un inizio di fronda interna, i pochissimi dissidenti a favore di un'apertura con il Partito Democratico sono stati duramente redarguiti dal leader del movimento e minacciati di espulsione. Non vogliono avere nulla a che fare con i vecchi partiti responsabili degli scandali finanziari (Parmalat, Monte dei Paschi di Siena...)! Emerge l'impressione, tuttavia, che il capitale di simpatia goduto dall’M5S all'indomani del voto del 25 febbraio cominci a sgretolarsi.
Eccetto l’appoggio atipico del patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, e del Presidente di UniCredit, Giuseppe Vita, il fondatore del M5S è lontano dal fare un passo in avanti negli ambienti d'affari italiani. Tranne alcune interviste sapientemente misurate concesse al quotidiano The Guardian o alla rivista tedesca Focus sul “crollo dei vecchi partiti ", Beppe Grillo non ha in verità rivelato nulla sulle sue concrete proposte economiche e sociali. Nonostante la sua promessa di un “immediato” piano per il rilancio delle piccole e medie aziende, tutto suggerisce che l'incertezza che ha prevalso sul suo programma (reddito minimo garantito, referendum sull’euro, tassa patrimoniale...) soltanto in parte ispirato a “Premio della disuguaglianza” dell'economista americano Joseph Stiglitz serva soprattutto a mettere tutti nello stesso calderone se si dovesse tornare alle urne.
Gli imprenditori scalpitano, i sindacati diventano impazienti. Tra il decollo traballante del “calabrone” Bersani e il rischio di un duro atterraggio, il Quirinale ha preferito dare tempo al tempo. In mancanza di una grande coalizione alla tedesca, la politica italiana rischia di farsi invischiare in una forma permanente di inciuci. Tutto è congelato: in assenza di accordo, il governo provvisorio di Mario Monti ha dovuto rimandare il suo decreto sul rimborso molto parziale dei 90 miliardi di euro di arretrati di debito dell'amministrazione pubblica al settore privato, promesso da diverse settimane. Domanda interna, produzione industriale e crediti alle imprese: tutti gli indicatori sono in rosso nella Penisola. Non c'è dubbio che il costo dell'immobilismo rischia di divenire particolarmente oneroso a medio termine. Secondo un recente studio pubblicato sul sito Lavoce.info, se lo stallo dovesse perdurare, il costo dell'incertezza potrebbe ridurre il PIL dello 0,8 per cento nel 2013-2014, e far passare il debito dal 127 % al 135% del PIL entro il 2015.
Nonostante questo clima di paralisi, alcuni non escludono che l'”effetto Grillo” possa ancora servire come una scossa "salutare", favorendo, ad esempio, l'emergere di una candidatura di Renzi per il centro-sinistra. "Ormai, la sinistra deve cambiare profondamente se non vuole fermarsi al 25%” ha dichiarato di recente l'economista Francesco Giavazzi (Università Bocconi), in un suo intervento ad Harvard, in cui si è detto convinto che il Paese tornerà alle urne tra giugno e ottobre.
Oltre a un accordo tattico provvisorio, contro natura, tra la sinistra italiana e Silvio Berlusconi, per fare una riforma elettorale di emergenza e affrontare le cose più urgenti, non c’è nessun segnale evidente di come il Paese potrà evitare nuove elezioni. Votare di nuovo o andare all’indietro: questo è l’attuale dilemma italiano. La versione ottimistica è che il M5S può fungere da catalizzatore. "Meglio Grillo che la rivoluzione in piazza" dice in confidenza un banchiere milanese.
Nessun commento:
Posta un commento