lunedì 30 aprile 2012

Italia, il rovescio della medaglia Monti

Italie, le revers de la médaille Monti


di Sandra Moro
Pubblicato in Svizzera il 11 aprile 2012
Traduzione di Claudia Marruccelliù

La potente medicina somministrata da Mario Monti alla penisola, per tirarla fuori dal marasma, provoca il malcontento di alcune categorie di cittadini. A guidare la protesta, i piccoli imprenditori che lamentano una pressione fiscale insopportabile e riforme che non favoriscono la produttività.

"Mario Monti è la persona giusta al momento giusto, al posto giusto. Noi approviamo tutte le misure adottate" dichiarava con entusiasmo due settimane fa Angel Gurria, segretario generale dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), circa l'azione del successore di Berlusconi in carica dal novembre 2011. Lodate dai suoi omologhi europei e dalla comunità internazionale in generale, le riforme intraprese da Mario Monti per risollevare  le sinistrate finanze italiane, non gli riservano però gli stessi elogi unanimi da parte dei suoi concittadini. Anche se i sondaggi attestano ancora una certa popolarità del presidente del Consiglio, che era del 55% a fine marzo, i suoi metodi e i suoi piani di rigore sono all'origine di aspre critiche in alcuni settori della popolazione. In prima fila i piccoli imprenditori, numerosi nell’esprimere la loro rabbia sentendosi poco rappresentati dalle associazioni professionali troppo passive per il loro gusto.


Penalizzati per anni in un paese che fa fatica a crescere, i piccoli imprenditori dicono di sentirsi presi per la gola, da quando l'Italia, sottoposta ad una cura di austerità, è entrata in recessione alla fine dello scorso anno. Essi denunciano in particolare l’aumento della pressione fiscale deciso dal governo e si lamentano dei crescenti controlli  che peggiorano solo la situazione. "Mario Monti  ci fa fare solo bella figura agli occhi del mondo, non risolve i problemi del Paese", dice Luca Peotta. Questo proprietario di una piccola azienda che produce forni industriali e dà lavoro a otto persone nella città di Cuneo, ha fondato nel 2009 "Imprese Che Resistono ", un movimento che rivendica una riduzione dei carichi fiscali che pesano sulle forze produttive del paese. Apolitico e forte della presenza di circa 3.500 aziende associate, questo movimento è ora più attivo che mai. Perché la situazione è gravissima, insistono i suoi membri. Nel 2011, sono fallite più di 11.600 imprese in Italia, un record negli ultimi quattro anni, che ha comportato la perdita di 50.000 posti di lavoro secondo l'Associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre (CGIA) nel Veneto.

In Italia, "l'onere fiscale che grava sul lavoro e sulle imprese supera di 50 miliardi la media europea", ha dichiarato il mese scorso Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti. E nonostante il governo prometta di spostare l'onere fiscale dalle imprese al patrimonio e al consumo, i piccoli datori di lavoro sono preoccupati. "La situazione delle PMI non migliorerà molto", ha detto Massimo Mazzucchelli, capo di una azienda a carattere familiare che dà lavoro a 16 persone nella provincia di Varese, e membro di ICR. L’imprenditore è meravigliato dalle misure decise nel quadro della riforma del mercato del lavoro. Questa prevede un nuovo sistema di indennità di disoccupazione, che richiede maggiori contributi agli artigiani e piccole imprese, oltre a tassare ulteriormente le diverse forme di lavoro a tempo determinato: "Questo è precisamente ciò che ha permesso alle piccole imprese di assumere dipendenti soltanto durante i periodi di forte produttività. La domanda è drasticamente calata, non c'è abbastanza lavoro per assumere personale sulla base di contratti a tempo indeterminato ".


I piccoli imprenditori non sono però i soli a subire gli effetti delle riforme del governo: la riforma delle pensioni, il ritorno della tassa di proprietà sulla prima casa, l'ulteriore aumento di due punti dell'IVA previsto per il prossimo autunno (per raggiungere un tasso del 23%), o l'introduzione di imposte ambientali previste nel quadro della riforma fiscale preparato dall’esecutivo, rientrano nell’elenco dei pesanti sacrifici annunciati da Mario Monti a tutti i cittadini quando ha assunto l’incarico di governo. Risultato, la pressione fiscale in Italia "è in procinto di superare il 45% del PIL, un livello che ha pochi uguali al mondo", ha dichiarato preoccupato Luigi Giampaolino durante un colloquio con la commissione della Camera dei Deputati nel mese di marzo. La media europea si colloca a circa il 40%.

Per risanare le finanze della nazione - che vanta un debito di oltre 1,9 miliardi di euro, ossia il 120% del PIL - il governo ha intensificato i controlli fiscali. Ancora una volta, i piccoli datori di lavoro alzano la voce e denunciano una caccia alle streghe mirata soprattutto verso i piccoli contribuenti. "Non è per difendere l'evasione fiscale, assicura Luca Peotta, ma notiamo che non sono i grandi evasori che sono preoccupati al momento. Loro continuano come prima a esportare i propri capitali verso i paradisi fiscali ".

Le lamentele dei piccoli imprenditori circa l'inasprimento del controllo fiscale non ha nulla di sorprendente. Essi sono stati finora assoggettati ad un sistema, spietato nei confronti dei dipendenti tassati alla fonte, ma ha colpito davvero poco gli autonomi, i liberi professionisti e le aziende, all’origine delle massicce sparizioni di capitali. Secondo il Ministero del Tesoro italiano, gli importi evasi potrebbe ammontare più di 160 miliardi di euro all'anno. Secondo i dati fiscali nel 2011 (per l'anno 2010) raccolti dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell'Economia, il 49% dei contribuenti italiani dichiara un reddito annuo inferiore a 15.000 euro. E mentre il reddito medio dei dipendenti è di 19,810 euro e quello degli imprenditori arriva solo a 18,170 euro.


Francesco, che gestisce una piccola azienda edile in Liguria, non nasconde che si prende qualche libertà con i pagamenti fiscali che dovrebbe versare. Dice che questo è il prezzo da pagare affinché la sua azienda possa sopravvivere: "Il lavoro manca, se voglio portare a casa qualcosa per vivere, devo risparmiare sia nelle misure di sicurezza nei cantieri, sia evitare di dichiarare una parte del reddito. "Ma non è sempre stato così, dice. Nel 2005, dichiarava ancora un reddito di oltre 40.000 euro. "Gli affari andavano meglio a quel tempo, ma da allora la situazione è peggiorata. Non baro per divertimento ", dice uno che è stato deluso dalla azione di governo. "Se Mario Monti salva l'Italia, quella non è la mia [Italia], quella  dei poveracci".

Al di là della tendenza problematica e diffusa  degli autonomi in Italia di frodare, il disagio espresso dagli artigiani e dai piccoli imprenditori non è finto. Dall'inizio dell'anno, una decina di imprenditori alle prese con difficoltà economiche si sono suicidati nella penisola. A Bologna, due settimane fa, un artigiano si è dato fuoco di fronte all’Agenzia delle Entrate, con cui aveva un contenzioso.

Tali gesti di disperazione, in aumento dalla crisi finanziaria del 2008, sono ulteriormente aumentati negli ultimi mesi. Esasperato dalla passività delle autorità nei confronti di questo fenomeno, Massimo Mazzucchelli ha creato una rete di psicoterapeuti chiamati "Terraferma" una specie di Telefono Azzurro per gli imprenditori. "Sono molto spesso completamente soli ad affrontare i problemi che si accumulano e non riescono ad accettare la prospettiva di licenziare i dipendenti che spesso sono amici o vicini di casa, né di chiudere un’azienda in cui si identificano completamente", fa notare.

Alberto Dalpiaz, non ha ne’ intenzione di suicidarsi, ne’ di mettere la chiave sotto la porta/rinunciare alla sua azienda. Proprietario di una azienda agricola biologica di 4 ettari nella regione di Imperia, come tutti gli agricoltori, gode di numerose esenzioni fiscali. "Non sono poi tanto sfortunato", si lamenta, tuttavia, come gli imprenditori di altri settori, della riluttanza delle banche a concedere prestiti. Una tendenza che si è ancora più accentuata dal secondo semestre del 2011, fa notare la CGIA di Mestre. "Questo è un grande disincentivo alle aziende individuali, e questo può causare molti problemi quando si devono garantire  determinati pagamenti mentre la maggior parte dei clienti sono lenti nel saldare le proprie fatture."

Primo fra i morosi, "lo Stato, che paga i propri conti con un enorme ritardo, accusa Alberto Dalpiaz. E’ il colmo, se si pensa che proprio lo stato non esita a colpire con forza e direttamente coloro che non pagano  i propri debiti in tempo", dice il contadino. Secondo uno studio dell'associazione di categoria Confartigianato, lo Stato evidenzia una media di 137 giorni di ritardo nel pagamento dei suoi fornitori.



Variazione di crescita del PIL dal 1999 al 2011

Oltre al sollievo del carico fiscale, l'obbligo di pagare entro 60 giorni fa parte delle riforme richieste da ICR per migliorare la situazione delle PMI, così come un cambiamento nel sistema di riscossione dell’IVA", che dovrebbe essere versata all’amministrazione quando le aziende incassano i propri profitti", sostiene Luca Peotta, piuttosto che mensilmente o trimestralmente come avviene oggi. "Grazie ad iniziative di questo tipo che l'Italia potrà tornare a crescere", .
ha detto

In attesa di vedere le autorità disposte ad ascoltarli con più attenzione, gli imprenditori delle medie industrie, così come gli altri autonomi, vedranno ridotto il loro margine di manovra contro il fisco, perché il governo insiste da mesi con controlli che si intensificheranno in futuro.
Per il sindacalista Domenico Proietti, specialista in materia fiscale della UIL (Unione Italiana del Lavoro), è il minimo che che si può fare. Poiché anche se la situazione dei piccoli datori di lavoro non è sempre rosea, non sono quelli più messi male, sostiene. "Cominciamo con l'abbassamento delle tasse per coloro che effettivamente pagano dal primo all'ultimo euro. In Italia, non sono difficili da identificare, sono i dipendenti e pensionati ".


La Chiesa non è un datore di lavoro molto "cristiano" per i suoi sacrestani

L'Eglise, un employeur pas très catholique pour ses sacristains

di Ariel Dumont
Pubblicato in Francia il 02/04/2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

Il governo di Mario Monti e il Vaticano hanno un problema in comune: l'occupazione. Da un lato la Repubblica con il governo di tecnocrati che vuole convincere i tre sindacati (CGIL, CISL, UIL) ad accettare una profonda riforma  dell'articolo 18 del Codice del Lavoro, che regola i licenziamenti, per rilanciare la crescita e favorire le assunzioni. Dall’altro la Chiesa, con i sagrestani che reclamano aumento di stipendio e contratti regolari, dato che la maggior parte di essi vengono assunti in nero. E il dialogo risulta particolarmente complicato sia in Vaticano che a Palazzo Chigi.

 

I sacrestani si occupano delle pulizie
In occasione di un ritiro spirituale, i sacrestani hanno protestato con i propri rappresentanti "sindacali" per le modalità di assunzione che li riguardano.
“La nostra associazione, la Fiudacs, creata nel 1970, ha circa 850 membri. Il suo obiettivo è quello di tutelare le nostre condizioni di lavoro", ha spiegato il suo presidente Maurizio Bozzolan.
Dati alla mano, Il presidente della Fiudacs  ha esposto la situazione dei sacrestani. Il contratto di lavoro, rinnovato alla fine del 2011, prevede una retribuzione mensile di 1.260 euro per una settimana lavorativa di 40 ore, oltre alle ferie. E 'previsto dal contratto che il sagrestano debba, in particolare, "controllare e pulire la sagrestia."
“Con la crisi, riceviamo un sacco di curriculum vitae e richieste di assunzione. La settimana scorsa, per esempio, un camionista, che era stato appena licenziato, mi ha chiamato per chiedermi se c’era ancora un posto disponibile", dice Maurizio Bozzolan.
Egli spiega che questo lavoro non è facile. Occorre frequentare la chiesa regolarmente e ascoltare la messa ogni domenica - "Chi non frequenta la chiesa da anni non è adatto per questo lavoro", dice Maurizio Bozzolan -  inoltre deve anche dimostrare di essere "moralmente integerrimo".


Lavoro nero nei luoghi religiosi
Tuttavia, per motivi economici, il contratto di lavoro non viene applicato a tutti i lavoratori. Anche se fino ad oggi esente da imposte, ai sensi dei Patti  Lateranensi, (accordo firmato nel 1929 tra Benito Mussolini e il Vaticano) la Chiesa non ha soldi, dice, per pagare regolarmente i suoi dipendenti.
La Chiesa non può quindi creare nuovi posti di lavoro regolari e spesso devono assumere in nero ricorrendo anche ai volontari. In cambio di una busta contenente qualche centinaio di euro per Natale e qualche mancia per permettersi una pizza di tanto in tanto, svolgono per carità cristiana il lavoro dei sacrestani.
Dovremmo utilizzare alcune delle risorse offerte dal contribuente alla Chiesa, accettando una riduzione delle imposte per organizzare dei corsi di formazione, aumentare gli stipendi e pagare i contributi di tutti i sacrestani. Ciò consentirebbe anche di creare velocemente tra 5.000 e 10.000 posti di lavoro. Sarebbe un modo per partecipare al rilancio del motore dell'economia italiana ", ha detto Maurizio Bozzolan.
Per delineare un quadro reale della situazione delle parrocchie, la Fiudacs si è rivolta alla Faci, la confederazione delle associazioni del clero italiano, una specie di Confindustria per il clero. Ma la maggior parte delle parrocchie interpellate non ha risposto. La Fiudacs non può improvvisamente rivoltarsi contro le parrocchie che rifiutano di pagare i contribuiti ai sacrestani.
La vera carità non sempre  inizia a casa propria.

domenica 22 aprile 2012

Italia d'esempio per i francesi


Rinvio del piano di austerità: l’Italia può dare qualche spunto alla Francia?
 
di Emmanuel Cugny
Pubblicato in Francia il 20 aprile 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli

L'Italia ha deciso questa settimana di rinviare l'applicazione del suo piano di austerità per dare priorità ad alcune misure per rilanciare la sua economia. Roma ha aperto una breccia in cui altri paesi rischiano di precipitare?


Certamente, perché sarebbe proprio una bella occasione. Il Primo Ministro italiano Mario Monti ha dato il '' La'' ad un movimento che molti paesi stanno chiedendo da mesi, in primo luogo i paesi dell'Europa del sud che hanno problemi simili. Il ragionamento di Mario Monti è semplice: l'austerità sta uccidendo quel poco di crescita che l'Italia può ancora permettersi. Fase 1: rinviare di un anno obiettivo di pareggio in bilancio inizialmente fissato per la fine del 2013. Fase 2: lancio di grandi opere (saranno sbloccati per i prossimi 3 o 4 anni 20 miliardi di euro all’anno per costruire o rimodernare strade, ferrovie, aeroporti, scuole e ospedali); pagamento dei crediti arretrati che le imprese private avanzano dallo Stato (saranno impiegati 20 miliardi) e infine: mettere in atto incentivi fiscali per la creazione di imprese.
 

Lei ha detto che è il sogno di molti paesi. E 'il caso della Francia?

L’argomento assume un significato particolare alla vigilia di un nuovo mandato quinquennale. Concentrarsi sulla crescita anziché sull'austerità, è l'idea che la sinistra difende da molto tempo. Se Francois Hollande verrà eletto la sera del 6 maggio, non esiterà a citare come esempio Mario Monti,  e da parte sua allentarà un poco la zavorra in termini di rigore. Rimane il margine di manovra... anziché sponsorizzare le grandi opere, il possibile nuovo presidente socialista potrebbe invece mettere in pratica le misure simboliche che  ha annunciato nelle ultime settimane: restituire un po'di potere d'acquisto attraverso la revisione del salario minimo, e poi investire sull'occupazione, in particolare aumentando il personale docente di ruolo nella pubblica istruzione. Attenzione però a non spendere troppo... si deve continuare a risparmiare... precisiamo che se Mario Monti respinge le scadenze del piano di austerità, il Senato italiano, lo stesso giorno ha inserito nella Costituzione la sacrosanta 'regola aurea' .. . questo freno volto a contenere il bilancio statale e di cui Francois Hollande non vuole sentire parlare.


Mario Monti può ispirare anche Nicolas Sarkozy?

Non lo penso. La Francia non si trova nella situazione dell’ Italia (noi dovremmo avere quest’anno una crescita – certo bassa – del 0,5%, mentre Roma sarà ben al di sotto dello zero). peraltro, anche se sono state subito smentite  ieri,  le voci di  un declassamento francese riemergono nuovamente . Il gioco quindi si fa serio, bisogna essere molto attenti con le spese. Tuttavia, se rieletto Nicolas Sarkozy  potrebbe cavalcare l'onda italiana facendo appello al discorso pronunciato domenica scorsa a Place de la Concorde: rendere la Banca Centrale Europea meno indipendente per iscrivere una strategia di crescita e aiutare direttamente le economie a ripartire... quello che aveva difeso nel 2007. Questo è ovvio: le campagne per le elezioni presidenziali in Francia non hanno avuto mai  un simile tono internazionale.

mercoledì 18 aprile 2012

La Hack contro le limitazioni sulla patente

Interdite de conduite, l’astrophysicienne se révolte
L’astrofisica si ribella al divieto di guidare


di Ariel F. Dumont
Pubblicato in Svizzera il 15/04/2012 
Traduzione di Claudia Marruccelli
15.04.2012

 Una scienziata inizia una crociata contro una sentenza che ritiene arbitraria
 

Margherita Hack rifiuta la ghettizzazione degli anziani.
"Non sono ancora rimbecillita!" dice adirata Margherita Hack. L'astrofisica, considerata in tutto il mondo come una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana, ha da poco saputo che non potrà più guidare. Almeno secondo il medico contattato dalla prima donna che ha diretto un osservatorio astronomico in Italia e dato un contributo decisivo allo studio della classificazione spettrale di molte categorie di stelle.

Limite massimo di 80 anni
Mentre in Svizzera le persone con oltre 70 anni devono superare una visita medica ogni due anni, il limite italiano è fissato a 80 anni. L'astrofisico, che festeggerà le sue 90 candeline il 12 giugno, ha quindi contattato un medico autorizzato a rilasciare il certificato richiesto per il rinnovo della patente. Ma le cose non sono andate molto bene al telefono. "Non visito le persone che hanno più di 85 anni," si è lasciato sfuggire il Dott. Giuseppe Caragliu prima di riagganciare.
Una decisione arbitraria e soprattutto anticostituzionale secondo l’astrofisica, che ha deciso di passare alle vie legali per difendere il diritto dei nonni italiani di poter guidare. “La legge non vieta agli anziani di età superiore agli 85 anni di guidare. Ho preso la patente nel 1952, è non ho mai avuto nessun incidente serio” aggiunge con rabbia Margherita Hack.
Accusato dall’adirata astrofisica  di voler “ghettizzare gli anziani”, il medico così si difende:  “A 90 si è troppo vecchi per poter guidare anche se ci si chiama Margherita Hack! Un medico ha il diritto di assumere questo tipo di decisione” spiega il dottor Caragliu aggiungendo che la proroga di due anni concessa dalla legge italiana agli ultra ottantenni è una scadenza troppo generosa. “Avrei visitato volentieri Margherita Hack se avessi avuto la possibilità di rinnovare la sua patente solo per un anno” puntualizza il medico.


Età media elevata
La disavventura di Margherita Hack ha sollevato in Italia un dibattito già emerso in alcuni paesi europei dopo molti incidenti avvenuti sulle strade: Dovremmo vietare la guida agli anziani? La questione è particolarmente spinosa nella penisola, che sarà il paese nel 2018 con l'età media più elevata d’ Europa. "La vecchiaia non è una malattia. Le persone dovrebbero essere trattate con rispetto e non come cose vecchie ", si indigna il professor Bruno Bernardini, direttore del centro di riabilitazione motoria dell'ospedale Humanitas di Milano. Questo è precisamente la tesi avanzata da Margherita Hack.

domenica 15 aprile 2012

La carta di identità elettronica

Les succès et les échecs de la carte d’identité électronique

I successi e i fallimenti della carta di identità elettronica

di Fabien Jannic
Pubblicato in Francia il 04/04/2012
Traduzione di Claudia Marruccelli 


La carta di identità elettronica (eID) non esiste ancora in Francia ma suscita già polemiche. I deputati hanno dato il loro via libera a questo nuovo documento di identità dotato di chip elettronico all’inizio del mese di marzo. La nuova carta, che dovrebbe entrare in circolazione fra due anni, conterrà, oltre ai tradizionali dati anagrafici (indirizzo, altezza, luogo di nascita …) anche i dati biometrici, e se occorre le impronte digitali.
In molti, tra cuii la Lega per i Diritto dell’Uomo, si sono dichiarati contrari, protestando contro ciò che alcuni giudicano una “violazione della libertà personale”.
Sul quotidiano francese L’Express, Jean-Claude Vitran, addetto alle relazioni esterne della Lega, spiega inoltre, che “le carte non sono affatto sicure. Possono essere lette a distanza tramite apparecchi magnetici o mediante raggi infrarossi”.
Mentre il governo dichiara che la nuova carta permetterà la lotta contro l’appropriazione illegale di identità (in Francia sono stati contati ogni anno 200.000 casi), le associazioni sono preoccupate per la possibilità di traffico illegale di informazioni, che potrebbe dare luogo alla creazione di una banca dati che riunisce tutte le informazioni integrate sul microchip della carta.
Altri paesi europei hanno già adottato una carta di identità che funziona in maniera simile. Anche se una direttiva europea del 1999 prevede il principio di firma elettronica, ciò nonostante Bruxelles non ha fatto alcuna pressione affinchè vengano adottate queste carte di identità nei paesi membri.
Ogni paese sta procendendo con i propri tempi e secondo le proprie modalità, quindi la eID contiene i dati biometrici solo in Italia, Germania, Portogallo e Spagna.


Belgio paese pioniere
Il Belgio è il primo paese europeo ad aver adotatto la carta di identità elettronica. Dopo un periodo di prova nel 2001, il regno belga ha reso ufficiale l’uso della carta a partire dal 2004, rendendola obbligatoria per tutti i cittadini belgi dal 2009.
In Belgio esisteva già una banca dati che riguardava la popolazione prima dell’adozione della eID. Questa vicenda ha sollevato meno discussioni che in Francia, anche se la Lega dei Diritti dell’Uomo belga ha comunque sottolineato la scarsa sicurezza che circonda l’eID. Ogni cittadino può, del resto, accedere online ai propri dati in possesso del governo. L’eID belga consente numerose applicazioni e può essere utilizzata in tutti gli uffici amministrativi del paese, in particolare per pagare le tasse online e presto consentirà anche di votare via Internet. I belgi hanno anche superato la questione del traffico illegale di dati, dato che la carta potrà essere utilizzata anche come mezzo di pagamento.


Estonia: l’integrazione più avanzata
Conosciuta per il suo alto uso di nuove tecnologie, l'Estonia  utilizza la eID dal 2002. Tutti i cittadini del paese sono tenuti ad avere questa carta che è attualmente in possesso di quasi un milione di persone (il 90% della popolazione). Il paese è quello che sfrutta maggiormente  le possibilità della carta d'identità elettronica.
A Tallinn, per esempio, è possibile, utilizzare la carta come biglietto sui mezzi di trasporto. L’eID estone può anche essere usata come identificativo nei commenti su alcuni siti di giornali, cosa che allora non mancò di creare polemiche. E 'anche possibile votare per le elezioni on-line attraverso la carta e i suoi dati. Nelle ultime elezioni, hanno utilizzato questa possibilità quasi 80.000 persone.
Un successo che il Ministro estone dell'Economia vorrebbe vedere in tutta l'Unione europea.
L'eID dovrebbe essere la stessa in tutti i paesi dell'UE “siamo solo all'inizio dell'era digitale ", ha detto.

L'ex ministro Brunetta e il voto elettronico
 Italia: limitata a pochi comuni
Anche in Italia le prime eID sono comparse a partire dal 2001. Se l'obiettivo finale è quello di sostituire con questa carta i 40 milioni di documenti cartacei esistenti, solo 83 Comuni sono attualmente abilitati al rilascio. Il possesso della carta d'identità elettronica non è obbligatorio per gli abitanti delle città in cui sono in circolazione.
A quasi 11 anni dal suo lancio, la eID italiana non è stata molto pubblicizzata e resta prerogativa dei comuni che l’hanno adottata per primi. Mentre una serie di servizi online dovrebbe servirsi di essa, nessuno questi è stato ancora attivato. Il futuro della carta è per il momento sospeso.
La carta italiana contiene anche le impronte digitali del titolare, che sono direttamente memorizzati nel chip.
 

Finlandia e Svezia: fallimento di una carta non obbligatoria
La Finlandia è uno dei pionieri europei nel campo della eID. Lanciata nel 1999, la carta contiene  come negli altri paesi, alcune informazioni del suo titolare.
La carta d'identità finlandese è però ancora considerata dal governo come un fallimento. Nel 2009 una commissione apposita ha richiesto il suo ritiro. Va detto che la scheda è stata adottata solo da 300 000 persone, mentre il paese conta 5 milioni di abitanti.
In Svezia, la situazione è simile. Con un costo di 400 SEK (42 euro), la carta è stata adottata dal solo l'1% (100 000) della popolazione.
La causa principale del fallimento della eID è il carattere non obbligatorio della carta d'identità in entrambi i paesi. I cittadini molto spesso scelgono di utilizzare la loro patente, sufficiente nella vita di ogni giorno, e se devono viaggiare, usano il passaporto biometrico, che costa solo 2 euro in più rispetto alla eID.
In entrambi i paesi, l'eID non contiene dati biometrici.


Portogallo: la scelta della semplificazione
In Portogallo, la carta d'identità elettronica sostituisce cinque diversi documenti: carta d'identità, lil codice fiscale, tessera di previdenza sociale, la carta dei servizi sanitari e la tessera elettorale. Come in Italia, l'eID contiene le impronte digitali del titolare. Il paese ha anche una banca dati che raccoglie tutte le informazioni biometriche della sua popolazione.
Lanciata nel 2007, nel paese sono in circolazione 2,5 milioni di carte, ossia un quarto della popolazione. Il Portogallo ha cercato di semplificare quanto più possibile i rapporti tra l'amministrazione e i cittadini. I portoghesi possono così effettuare molte transazioni online.


Germania e Lettonia: un lancio recente
In entrambi i paesi, l’uso dell’eID è ancora in fase iniziale.
In Germania, dopo un decennio di esitazioni, la prima carta d'identità elettronica è stata rilasciata nel 2010. Il governo spera in 10 anni di sostituire tutte le vecchie carte. Oltre ai dati convenzionali, questa contiene i dati biometrici.
La Lettonia è l'ultimo paese europeo ad aver lanciato la sua eID. Da lunedì scorso, i lettoni possono sostiture la loro vecchia carta d'identità con la nuova per soli 10 euro. Il governo prevede l’utilizzo di molti utilizzi possibili per la scheda elettronica.
Anche l’Austria e la Spagna hanno la carta d'identità elettronica, mentre la sua adozione è ancora in discussione nel Regno Unito.
Forse il progetto europeo Stork, avviato nel 2009, cambierà tutto. Esso mira ad unificare le diverse eID nei paesi membri, al fine di facilitare le procedure amministrative per i cittadini europei.

sabato 14 aprile 2012

Test di verifica per l'estrema destra

L'extrême-droite à l'épreuve de la gestion
L'estrema destra sotto esame per la gestione [finanziaria]

di Hugues Portelli Senateur UMP du Val-d’Oise
Pubblicato in Francia il 12/04/2012
Traduzione di Claudia Marruccelli  per Italia dall'Estero


Le dimissioni di Umberto Bossi, il leader dell’ ultra-populista Lega Nord e le indagini per corruzione, appropriazione indebita e finanziamento illecito, che riguardano la sua famiglia e una buona parte della direzione del suo partito, dovrebbero servire da lezione [anche] al di fuori dell’Italia.



E in primo luogo a tutti coloro che, di estrema sinistra  e di estrema destra, hanno indossato per la campagna presidenziale francese l'armatura della virtù e [usato] lo slogan delle pulizie di primavera ("Cacciate i potenti" era lo slogan di Pierre Poujade alle legislative del 1956, quando Jean-Marie Le Pen fece il suo ingresso in politica [al fianco di Poujade, NdT]), contro una classe politica presentata come corrotta e inefficiente.
 

Per trent’anni, la Lega Nord e Umberto Bossi hanno acquisito visibilità e potere denunciando, con un linguaggio da osteria, le depravazioni - reali - di una buona parte della classe politica italiana, e sostenendo al tempo stesso [il bisogno] di una pulizia politica della nuova “Babilonia” (Roma Capitale) e della caccia agli immigrati, non solo quelli venuti dal sud dell’Italia, ma anche quelli … che arrivavano dall’Italia del Sud.

 Dopo la grande crisi del 1992-93 e il crollo dei partiti tradizionali, la Lega Nord è stata, con Silvio Berlusconi, con il quale ha formato un'alleanza che l’ha portata al potere, il principale beneficiario dell’epurazione condotta dalla magistratura. L'esercizio del potere all'ombra di Berlusconi non le ha impedito, tuttavia, di rafforzare la sua  denuncia anti-politica e la caccia ai capri espiatori perfetti: gli immigrati.





Purtroppo, questi parvenu della politica, una volta al potere, hanno resistito meno a lungo alle tentazione di quelli che loro stessi attaccavano. E trent'anni dopo sono i vertici della Lega che crollano  dopo la scoperta della corruzione generalizzata [nel partito].

Il Fronte Nazionale aveva già dato un assaggio del suo "savoir faire" dopo i suoi successi mediterranei, alle amministrative del 1995 a Vitrolles e a Tolone. Il partito non perse il potere a cause di una sconfitta elettorale, ma semplicemente perché in sei anni, la sua gestione [della cosa pubblica] era finita in tribunale.


Occorre sempre diffidare di coloro che fanno della virtù l'alfa e l'omega della propria agenda politica. Spesso sono più corruttibili di quelli che denunciano per  prenderne il posto. L'esempio italiano non è l’unico: il leader dell’ estrema destra austriaca Jörg Haider (grande amico di Umberto Bossi), lo aveva già dimostrato. Meglio fermarsi qui.


mercoledì 4 aprile 2012

La politica europea è ... maschile

La parità tra i sessi in politica, un mito europeo

Nel Parlamento europeo, poco più di un terzo dei parlamentari sono donne. In particolare la bassa cifra, rivela un’ Europa in cui la parità dei sessi in politica avanza a piccoli(ssimi) passi. Inventario di una democrazia in fase di costruzione, lenta e faticosa. 
Angela Merkel e Iveta Radicova

di myEurope 
pubblicato in Francia il 07/03/2012
traduzione di Claudia Marruccelli
 
Angela Merkel (Germania), Helle Thorning-Schmidt (Danimarca), Iveta Radičová (Slovacchia) e Dalia Grybauskaite (Lituania) sono sole solette nelle foto ufficiali. Esse sono le uniche quattro donne alla guida del proprio paese, su ventisette dell’eurozona. L'Europa resta un'area a dominazione maschile, specchio del parlamento europeo e dei suoi due terzi di presenza maschile. Le camere nazionali non sono poi tanto più equilibrate, si prenda ad esempio l'Ungheria (solo 8,8% dei parlamentari sono donne), la Romania (11,2%) o ancora  l'Irlanda (15,1%). La Francia e il suo 18% di donne parlamentari è ben lontana dalla modernissima Svezia che conta anche il primato (44,7%). Facciamo il punto sulla parità dei sessi in quattro paesi europei, con uno sguardo alla Turchia.
Distribuzione delle donne in politica nel mondo: dal 1997


Belgio: le quote sono un flop

Il diritto di voto per le donne esiste in Belgio dal 1948. Sessantaquattro anni più tardi, sono ancora una netta minoranza nell'apparato politico. Una tendenza che ha giustificato nel 2002 l'adozione di una legge che impone quote rosa per alcune elezioni. Nelle liste elettorali occorre rispettare la parità tra i sessi tra i candidati, con uno scarto di uno, cioè, quando un partito ha 21 candidati, 11 di loro, al massimo, saranno uomini. Regole applicabile alle elezioni federali, europee e regionale. Le elezioni locali però hanno una normativa autonoma variabile di regione in regione. In tutti i casi, il mancato rispetto delle quote è sanzionabile. Ma se il principio delle quote sembra giusto, la loro applicazione ha avuto scarso impatto sulla presenza delle donne nei vari organismi di rappresentanza belga: infatti, il sistema dei voti di preferenza si basa sul posto che i candidati occupano in una lista. E la  maggioranza dei voti in genere va ai capilista. I partiti sono ben consapevoli di ciò, collocando in cima alle liste elettorali i “pesi massimi” che attirano voti. E questi big sono spesso degli uomini. Così è successo che Elio Di Rupo, l'attuale Primo Ministro si è anche presentato come candidato sindaco di Mons. Mentre tutti sanno che non avrebbe mai accettato l’incarico ...
Il governo belga è composto da  cinque ministri di sesso femminile su otto uomini e un Segretario di Stato su 6. Un rapporto più che rispettabile se si guarda altrove. Si noti che il Belgio non ha mai comunque avuto un Primo Ministro donna. In parlamento, il 39,3% dei parlamentari erano donne nel mese di ottobre 2011.
La parità è sulla buona strada in Belgio, che secondo il World Economic Forum nel 2011, si è classificato al 17° posto tra i paesi nel mondo, in termini di integrazione politica delle donne, e al 13° per la parità dei sessi in generale.


PAESI BASSI: una regina di fronte al deserto 

I Paesi Bassi, dove le donne hanno il diritto di voto dal 1919, sono messi un po’ peggio. Il Forum Globale li colloca al 26° posto nella graduatoria dell'integrazione delle donne in politica, e al 15° posto assoluto. Il capo dello Stato olandese è una donna, la regina Beatrice che è sul trono dal 30 aprile 1980. Il sovrano dei Paesi Bassi è quindi una sovrana dal 1890 ... Sì, ma cosa succede nelle istituzioni politiche?
Ci sono stati un terzo di rappresentanti donne nel governo nel mese di ottobre 2011. In vari organi politici, esiste un sistema di quote rosa, come in Belgio, che stabilisce il tetto minimo del 50%  per la  partecipazione delle donne nelle liste elettorali. Ma, sempre come in Belgio, le posizioni di capolista spesso le evitano. Una legge del 2002 punisce con delle ammende queste mancanze.
Le donne occupano il 40,7% delle poltrone in Parlamento,  un po’di più rispetto al Senato (36%), e ancor  di più  nelle province (34, 6%). A livello più locale purtroppo, la parità diminuisce ancora: solo il 26,8% dei consiglieri comunali sono donne. Al contrario, quasi la metà degli eurodeputati olandesi sono deputati donne.

1929 le prime donne laburiste al governo, la terza da sinistra è Margaret Bondfield

GRAN BRETAGNA: ai Liberaldemocratici non piacciono le donne, i laburisti sono i "meno peggio"

Parità sessuale nella politica britannica oggi sembra molto illusoria. Prima di tutto al governo: solo 4 su 22  alti ministri del governo di David Cameron sono donne. Appena il 18%. I liberal-democratici sono i discoli/maschilisti della coalizione di governo, dal momento che i cinque ministri dei LibDems sono di sesso maschile; i ministri conservatori sono da parte loro maschi al 75%, quindi solo un quarto sono donne.
I Liberaldemocratici e i conservatori in Parlamento sono anche peggio: solo il 12,3% dei parlamentari (7 su 50) per i primi, e il 15% per i secondi (48 su 259). L'opposizione laburista va molto meglio, con quasi un terzo (81 su 177).
Non bisogna meravigliarsi quindi se il Partito laburista - che è stato il primo partito a nominare una donna al governo, Margaret Bondfield nel 1924 - vuole imporre le quote rosa. Gli altri partiti politici sono contrari. Il partito laburista ha anche cercato di dare il buon esempio alle elezioni generali del 1997 creando delle liste di alcuni quartieri composte interamente da donne: 101 donne erano state così elette alla carica di parlamentare, contro solo 13 conservatrici, 3 liberaldemocratiche e due indipendentiste scozzesi. Ma il sistema è stato sospeso per le elezioni 2001, in quanto ritenuto illegittimo da un tribunale, con una conseguente nuova diminuzione del numero di donne in Parlamento. Nel 2005, ci risiamo, l'innovazione sulla parità dei sessi viene riproposta dal partito laburista. Alle ultime elezioni, 190 donne  sono stati nominate come candidate, un record assoluto per il paese.


Governo Mariano Rajoy

SPAGNA: nessuna donna alibi, ma molte "numero 2"

In Spagna, i politici donne sono più spesso i numero due. Ma a differenza di altri paesi, il loro potere è reale. Raramente servono da alibi per giustificare la composizione degli organi di potere essenzialmente maschili.
Nella Spagna di Mariano Rajoy, il 37,4% dei parlamentari sono donne. Una media onorevole rispetto ad altri paesi. E comunque siamo lontani dalla parità, in particolare da quella promossa dal precedente mandato. Infatti, il governo socialista di Jose Luis Rodriguez Zapatero era composto soprattutto da donne, mentre il conservatore Rajoy, eletto il 20 novembre scorso, conta solo quattro donne su quattordici ministri.
Una percentuale che non dovrebbe oscurare il ruolo che alcune di loro sono venute a ricoprire. Ciò vale in particolare per  il caso di Sorya Sánchez Santamaría, che domina incontrastata il governo dalla sua posizione di vice primo ministro e portavoce per i Rapporti con il Parlamento. Anche i
l numero due del partito di governo è una donna, María Dolores de Cospedal, segretario generale eletto all'unanimità dai suoi colleghi al congresso del Partito popolare all’inizio del mese di marzo. Inoltre ricopre anche la carica di  presidente della Castilla La Mancha. In Catalogna, il PP è guidato da una donna, il cui successo elettorale è stato clamoroso nelle ultime elezioni regionali nel 2010.
Un'altra personalità femminile in vista è Esperanza Aguirre. E 'l'ambiziosa presidente della regione di Madrid, il secondo territorio più ricco di Spagna. Oppure Ana Botella, il primo sindaco donna della capitale spagnola. Il posto d'onore lo ha comunque raggiunto dopo che  il suo predecessore ... è stato nominato ministro della Giustizia. In altre parole, perché un uomo è stato promosso.
Che dire dell'opposizione? I socialisti del PSOE hanno affidato a Soraya Rodriguez il ruolo di  portavoce del partito in Parlamento. In particolare, dopo l'elezione risicata di Alfredo Pérez Rubalcaba contro la catalana Carme Chacón, il nuovo segretario generale del PSOE ha nominato Elena Valenciano numero due del partito, come segretario generale.

Partecipazione femminile nei quadri dirigenziali e politici francesi

FRANCIA: parità a piccoli passi

In Francia, la politica non è immune dal sessismo e la parità tra i sessi avanza (molto) lentamente. In altre parole, i partiti parlano molto ma agiscono poco.
Nel 1945, le prime donne parlamentari sono stati elette in Francia, un anno dopo la conquista del voto. Furono esattamente 33 ad inaugurare la presenza femminile nella camera. Settanta anni dopo, quel numero è certamente triplicato, ma la rappresentanza delle donne in politica resta assolutamente arretrata. Oggi, 107 parlamentari  sono donne, contro 470 uomini. Appena il 18% quindi, a titolo puramente informativo, meno che nel Parlamento cinese. E il Senato francese se la cava meglio solo per poco: il 23,5%, ossia l’80 sono le senatrici contro 261 senatori (2011).
La Francia è anche classificata al 46°  posto nella classifica dell’ uguaglianza politica istituita dal World Economic Forum.
E 'sempre più del governo Juppé II (1995-1997), il meno paritario negli ultimi venti anni, con solo 12,1 per cento di donne. Ma molto meno del primo governo Fillon (2007), che aveva uguagliato il punteggio del governo Jospin: il 34,4% di presenze femminili al governo.
Si noti che gli ultimi quindici anni, i ministeri chiave cominciano a sfuggire (a volte) agli uomini: Elizabeth Guigou (1997), Marylise Lebranchu (2000) e Rachida Dati (2007) alla giustizia, ma anche e soprattutto Michele Alliot-Maria, la prima donna ministro della difesa (2002), degli Interni (2007) e degli Affari Esteri (2010), tre capisaldi a prevalenza maschile per diverse repubbliche.
Dal lato elezioni legislative: i deputati hanno adottato una proposta di legge il 14 febbraio, per l'introduzione delle quote rosa nelle alte sfere dell’amministrazione pubblica. L'obiettivo? Portare a oltre il 20% le nomine delle donne nel biennio 2013-2015, il 30% per i prossimi due anni, e oltre il 40% dal 2018. Le donne rappresentano quasi il 60% dei funzionari pubblici, ma solo il 14% dei quadri dirigenziali e il 24% dei quadri superiori.

Il ministro turco Tansu Ciller

TURCHIA: un solo ministro donna … della famiglia ...

La Turchia accentua le differenze. Le donne di questo paese ha vinto il diritto di voto alle elezioni locali nel 1930 e alle elezioni nazionali nel 1934, vale a dire ben prima di molti altri paesi europei. Nel 1993, Ankara aveva anche alla sua guida la prima donna premier nella sua storia (l'unica finora), Tansu Ciller.
Ma oltre a questo, la rappresentanza delle donne in politica rimane drammaticamente bassa. Nel parlamento attuale, eletto nel giugno 2011, solo il 8,85% dei parlamentari sono donne (contro il 9,1% nel 2007, quello che allora era un record). Per quanto riguarda l'attuale governo con 26 ministri, ha solo una rappresentante femminile, che occupa  un ministero molto tradizionale, quello della famiglia.
Stessa osservazione a livello locale: meno dell'1% dei sindaci eletti nelle ultime elezioni nel 2009 sono donne (27 donne su 2948). Il partito filo-curdo BDP è di gran lunga più ben disposto verso le donne che costituiscono il 47% dei membri del suo organo di governo, contro il 15% del partito al governo AKP e il 16%  del principale partito di opposizione CHP.