venerdì 26 luglio 2013

Concorso Miss Italia: mai più sulla RAI, polemiche sulla televisione italiana


Élection de Miss Italie : la cérémonie n'est plus retransmise à la télévision publique, la télé italienne remise en question


di Sandra Lorenzo
Pubblicato in Francia il 19 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli per Il Fatto

La decisione della RAI con cui è stata annunciata l'intenzione di non trasmettere la settantaquattresima edizione del concorso di Miss Italia, a causa dei dati di ascolto in costante declino da alcuni anni, ha creato una polemica sul ruolo delle donne nella televisione italiana. Il Presidente della RAI ha motivato la decisione spiegando che il programma è "antiquato".
Il 15 Luglio, mentre il tema era ancora scottante, il Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, aveva definito la decisione della RAI come una "scelta moderna e civile". La rappresentante di SEL, in occasione di una conferenza sulla violenza contro le donne, ha dichiarato che alla televisione italiana "solo il 2% delle donne esprime pareri, parla. Il resto è muto, a volte svestito”.



"Donne mute in bikini, non c'è nulla di scandaloso"
La sua posizione riflette quella di molte donne, tra le quali Lucetta Scaraffia, storico e giornalista che ha pubblicato un editoriale sull'Osservatore Romano, il giornale del Vaticano. «Miss Italia è giusto lasciarla cadere nell'oblio che oggi merita» scrive secondo l'agenzia Apic.
Anche Ilaria Borletti, il Sottosegretario di Stato per la cultura, si schiera dalla parte di Laura Boldrini: "Negli ultimi 15 anni l’immagine della donna in televisione è stata man mano svilita e schiacciata, senza che venisse proposto un modello alternativo e più consono allo straordinario percorso che le donne in Italia hanno fatto nel lavoro, nelle professioni e nella società per affermarsi" riferisce il sito nouvellesnews.fr.
Alcuni politici non hanno perso l’occasione per difendere questo programma televisivo. Tra questi Gian Marco Centinaio, un rappresentante della Lega Nord (estrema destra) che non ha esitato a tracciare un parallelo con l'islam radicale. "Le donne hanno il diritto sacrosanto di mostrare orgogliosamente la propria avvenenza. Non c'è nulla di scandaloso né di scabroso in donne mute in bikini. Che cosa preferirebbe [Laura Boldrini]? Miss Burka?"
La creatrice del concorso ha provato a difendere il programma che riunisce "cinquemila ragazze che liberamente si sono iscritte e che partecipano - nè nude, nè mute - per conquistare quella visibilità che nessun altro evento mette loro a disposizione in maniera così seria e pulita. E’ in questa maniera che abbiamo permesso a numerose ragazze di lavorare oggi in Rai, nella moda e nella pubblicità " riporta nouvellesnews.fr. Ma il dibattito ha preso tutt’altra piega.
L'esposizione del corpo delle donne nella televisione italiana è un problema che agita la società da alcuni anni. Nel 2009, fece scalpore il documentario "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo. La giovane regista ha visionato 400 ore di televisione. Argomento: donne mezze nude che vengono palpeggiate sui glutei in diretta come se fossero dei prosciutti o parcheggiate in cubi di vetro a sorridere senza aprire bocca, come riportato da Slate.fr.
Scene di ordinaria televisione per i telespettatori italiani, ma che agli occhi di Laura Boldrini sono nient'altro che una "anomalia". "Altrove in Europa, dice, non c’è l'abitudine di utilizzare donne mezze nude per pubblicizzare yogurt, televisori, borse.
Queste bamboline sexy, che in italiano sono chiamate “Veline”, non possono pretendere molto di più che sposare un calciatore e quindi interrompere le attività di ballerine da lap dance in diretta. Nonostante siano ancora molto popolari, il malcontento inizia a crescere e si moltiplicano blog e gruppi su Facebook contro di loro. Simbolo dell'era Berlusconi, sono sopravvissute fino ad oggi, ma per quanto tempo ancora?
In Francia, il concorso annuale di Miss ha un futuro splendente davanti a sé. TF1 ha realizzato un record di ascolti lo scorso dicembre: la trasmissione è stata seguita da più di 8,1 milioni di telespettatori in media, ossia il 40% del pubblico...

mercoledì 24 luglio 2013

L’Italia perde i suoi gioielli di famiglia

Bye bye made in Italy, assalto ai grandi marchi

Articolo originale: "L’Italie perd ses bijoux de famille" - di Ariel Dumont apparso su fr.myeurope.infoTraduzione di Claudia Marruccelli per Il Fatto


Addio Riso Scotti, Chianti, Pasticceria Cova, salumi Fiorucci o latte Parmalat! L’Italia spalanca la sua cassaforte industriale e si lascia portar via i gioielli di famiglia. Marchi icone emblematiche della sua fama, nel corso degli ultimi vent’anni, la maggior parte dei suoi fiori all’occhiello sono stati ceduti a grandi gruppi stranieri, in particolare francesi come la holding LVMH.
LVMH si fa un regalo di cachemire

Il mese scorso, il gruppo della famiglia Pinault, che aveva già iniziato lo shopping transalpino nel 1999, appropriandosi di Gucci dopo altre etichette di lusso, ha fatto di recente un’offerta di acquisto per la Pasticceria Cova [di Milano ndt]. I dettagli dell’acquisizione non sono stati divulgati, ma l’affare potrebbe complicarsi. Il gruppo Prada, che sperava di unirsi in matrimonio con il gruppo Cova, si è rivolto alla giustizia italiana per richiedere l’annullamento della vendita. La prima udienza si terrà la prossima settimana. Continuando la sua campagna in Italia, la LVMH ha appena messo nel cestino della spesa anche il marchio del maglificio di cachemire Loro Piana. Costo dell’operazione per il gruppo francese: 2,4 miliardi di euro.

I francesi stanno depredando il settore agroalimentare italiano
Anche il settore agroalimentare è un bel bersaglio. Una buona fetta è finita anche nelle tasche dei francesi. A partire dal Gruppo Lactalis, che ha acquistato la Parmalat. Due anni fa, il gruppo francese Cristalco ha fatto suo il 49% del capitale sociale dei zuccherifici Eridania. Dall’inizio dell’anno hanno cambiato padrone altri tre importanti marchi. Prima Riso Scotti, che ha ceduto il 25% del suo capitale al colosso alimentare spagnolo Ebro Foods per un assegno di 18 milioni di euro. Quindi è toccato all’azienda vinicola Casanova, sottratta da un industriale di Hong Kong specializzato nel settore farmaceutico.
Infine, i pomodori pelati del gruppo Ar Alimentari, primo produttore italiano, sono stati venduti alla società anglo-giapponese Princes, controllata dalla Mitsubishi. Secondo la Coldiretti, la Confederazione dell’organizzazione di produttori agricoli, la fuga dei marchi agroalimentari costa ogni anno alla penisola un giro d’affari di una decina di miliardi di euro. Anche la grande distribuzione non ne è rimasta immune, presa d’assalto da Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin.

Lo spettro delle delocalizzazioni
Nel settore della moda, la Francia ancora una volta fa la parte del leone in Italia. Il brand dello stilista Gianfranco Ferré è stato acquistato da Paris Group, mentre Bernard Arnault si è dato alla gioielleria strappando il colosso mondiale con un fatturato annuo vicino a 1,2 miliardi di euro. Nell’industria, i tedeschi hanno battuto il famoso produttore di moto Ducati, passata sotto l’Audi Cup per 860 milioni di euro.
“Il cambiamento di proprietà spesso comporta lo spostamento di risorse finanziarie della società acquisita, la delocalizzazione della produzione, la chiusura degli stabilimenti e una riduzione nell’occupazione“, ha detto Sergio Marini, presidente dell’associazione degli agricoltori Coldiretti.
Due esempi confermano queste parole: l’acquisto di Parmalat da parte del Gruppo Lactalis, che ha beneficiato del recupero di liquidità dopo il salvataggio del gruppo e l’ondata di licenziamenti negli stabilimenti Fiorucci, acquistati nel 2011 dal gruppo iberico Campofrio.
Come fermare il massacro del made in Italy e frenare la fuga delle grandi marche? ”Creando un settore agricolo totalmente italiano e potenziando il motore industriale utilizzando misure sostenibili” questa la proposta di Sergio Marini. Purtroppo l’esecutivo italiano che ha recentemente appreso del nuovo abbassamento di rating da parte dell’agenzia Standard & Poors non ha davvero la testa per pensare agli investimenti.

Le mani della mafia sull’ambiente, in Italia

 
Articolo originale di Andrea Barolini apparso in Francia su ReporterreTraduzione di Claudia Marruccelli Il Fatto

Dalle nuove fonti di energia alla Torino-Lione, dal problema dello smaltimento dei rifiuti a quello dell’abusivismo immobiliare, la mafia è sempre più presente in tutti i settori dell’ambiente. Questo è ciò che emerge dal rapporto Ecomafia, presentato per la prima volta in Francia.
 

34120 crimini, 28132 persone denunciate alle autorità, 161 agli arresti domiciliari, 8 286 pignoramenti giudiziari e un fatturato di quasi 17 miliardi di euro. È la fotografia della criminalità ambientale italiana: un gigantesco business, oggi gestito da 302 clan mafiosi.
Per anni, anzi decenni, le infiltrazioni criminali nella gestione dei rifiuti o nello sviluppo delle energie rinnovabili sono aumentate in modo incredibile. E le cifre – diffuse dal rapporto 2013 di Ecomafia, la più completa relazione sul ruolo della criminalità organizzata in Italia nel settore dell’ambiente, compilato dall’associazione ecologista Legambiente – sono eloquenti.
Ciò che preoccupa maggiormente le autorità italiane è la distribuzione geografica dei crimini: la maggior parte (45,7%) sono localizzati ancora nelle quattro regioni con la più alta presenza mafiosa (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria), ma anche nel Lazio (regione della capitale, Roma) e in Toscana (con Firenze, Siena e Pisa). Inoltre, il numero di reati è in netta crescita: + 15,4% nel 2012 rispetto al 2011.
Questa è una delle conseguenze della ramificazione al centro-nord della mafia che arriva da Napoli e Caserta, le due “capitali” della camorra, una mafia estremamente attiva soprattutto nella gestione dei rifiuti.
È probabilmente per lo stesso motivo che l’Umbria è passata in un solo anno dal sedicesimo all’undicesimo posto nella “classifica” delle regioni meno virtuose. Ma preoccupanti sono anche i numeri che riguardano il nord del paese, lontano dal “quartier generale” mafioso del sud: i reati ambientali nel Veneto sono aumentati del 18,9% rispetto al 2011, mentre la Liguria ha registrato un incremento del 9,1% dei reati.

L’economia illegale incassa nonostante la crisi
“L’economia dell’Ecomafia – ha detto il Presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza in un comunicato stampa – è l’unica economia italiana che risulta in crescita in un contesto di crisi diffusa, riuscendo a costruire abitazioni abusive allo stesso ritmo degli anni precedenti, mentre il mercato immobiliare nazionale crolla”.
È un’economia che nasce da una comunione d’interessi tra imprenditori senza scrupoli, sindaci e amministratori collusi, funzionari corrotti, professionisti privi di etica e boss della mafia. Falsificano documenti e bilanci e operano grazie al “dumping” ambientale, all’evasione fiscale, al riciclaggio di denaro, alla corruzione, alla compravendita di voti e alle infiltrazioni in appalti pubblici.
Non è solo l’aspetto economico dell’affare che attira la mafia, ma la prospettiva dell’impunità. Infatti, la maggior parte dei tribunali italiani riescono a sanzionare tali reati soltanto dal punto di vista amministrativo: basta quindi pagare una multa per regolare i conti con la giustizia.
La cosa è molto evidente nel settore immobiliare. Il numero di edifici costruiti abusivamente è passato dal 9% del totale delle costruzioni nel 2006 al 16,9% (stimato) nel 2013. Nello stesso periodo, i numeri degli edifici a norma sono crollati da 305 000 a 122 000, mentre quelli abusivi hanno subito solo un lieve calo.
Questo fenomeno si verifica principalmente perché il mercato illecito è sostenuto dai prezzi che può garantire: il costo medio per costruire un’abitazione è di 155 000 euro in Italia, mentre se si sceglie l’abusivismo, verrà a costare non più di 66.000 euro in media. Certamente, ci sono dei rischi. Ma tra il 2000 e il 2011, giudici hanno ordinato soltanto 46 760 demolizioni, di cui appena il 10,6% sono state eseguite…

Rifiuti, settore agroalimentare, energie rinnovabili: nulla sfugge
I reati contro l’ambiente non risparmiano alcun settore. Legambiente ricorda che nel 2012 i crimini contro la sicurezza alimentare – nella filiera agricola – sono stati 4.173 (più di 11 al giorno), e i giudici hanno ordinato sequestri per un valore nominale di 672 milioni di euro.
Inoltre, l’Ufficio Centrale Antifrode indica che la quantità di materiale sequestrato alle dogane dei porti italiani è raddoppiata tra il 2011 e 2012, passando da 7.000 a circa 14000 tonnellate. Si tratta principalmente di materiali ufficialmente destinati al riciclaggio – plastica, carta o acciaio – ma che sono in realtà spediti in Corea del sud, Cina, Hong Kong, Indonesia, India o Turchia.
Questi flussi garantiscono ai mafiosi enormi quantità di denaro e danneggiano doppiamente l’economia: primo, perché riescono a deviare fondi statali destinati al riciclaggio dei rifiuti e secondo, perché essi intaccano l’ambito delle aziende in regola. Basta infatti presentare qualche documento falso per essere accreditati come “azienda di riciclaggio”.

Le nuove fonti di energia invase dalla mafia
Lo stesso problema si verifica nel settore delle energie rinnovabili, che sono sostanziosamente finanziate dalle amministrazioni pubbliche italiane ed europee. Un “tesoro” che non è sfuggito all’attenzione dei clan mafiosi:
“Le organizzazioni criminali – ha confermato la DNA (Direzione Nazionale Antimafia) nella sua ultima relazione annuale – sono molto interessate a impianti di energia pulita, perché beneficiano di sovvenzioni. Per stornarle a loro vantaggio, la mafia corrompe funzionari e le autorità che gestiscono le procedure di autorizzazione”.

Una corruzione in crescita … fino alla Torino-Lione
La corruzione è il cuore del problema. Secondo la DNA, gli arresti per corruzione sono raddoppiati durante la prima metà del 2012 rispetto agli ultimi sei mesi dell’anno precedente. In particolare, le indagini giudiziarie sui casi di «corruzione ambientale», tra gennaio 2010 e maggio 2013, hanno raggiunto la cifra impressionante di 135.
Tangenti pagate ad amministratori, rappresentanti politici e funzionari pubblici garantiscono l’emissione di concessioni per costruire abitazioni, autostrade, discariche, parchi solari o centrali eoliche. Solo nel 2012, venticinque amministrazioni comunali sono stati sospese per infiltrazioni mafiose, inclusa quella di Reggio Calabria, che conta più di 186.000 abitanti.
“La debolezza strutturale della pubblica amministrazione è stata terreno fertile per la criminalità organizzata non solo per motivi economici, ma anche semplicemente per rimarcare la propria supremazia sul territorio,“, ha dichiarato Valerio Valenti, prefetto siciliano, nel suo comunicato stampa. Valenti ha fatto pressioni per la nomina di un Commissario prefettizio nell’amministrazione locale calabrese.
Recentemente, una notizia molto preoccupante è arrivata anche della Val di Susa, in Piemonte, dove è prevista la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Dopo i controlli sui fornitori, una società con sede a Rovigo (in Veneto) è stata esclusa perché non aveva passato i controlli obbligatori antimafia. Si tratta della Pato Perforazioni, che non dovrebbe essere più presente in cantiere. Ma, secondo le informazioni pubblicate sul sito TG Valle Susa, non ha ancora abbandonato i lavori…

giovedì 18 luglio 2013

Le relazioni pericolose dell'Italia con il dittatore kazako


Les liaisons dangereuses de l’Italie avec le dictateur kazakh

Di Ariel Dumont
Pubblicato in Francia il 15 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Era la mezzanotte del 31 maggio. La zona residenziale di Casal Palocco, situata a 15 km dal mare, a sud della capitale italiana, è immersa nel silenzio. In una villa con piscina, protetta da occhi indiscreti da grandi alberi, dorme la famiglia Ablyazov. In una stanza, Alma Ablyazov e sua figlia di sei anni. In un'altra camera, sua sorella e suo cognato. Nelle altre, il personale di servizio.


Mukhtar Ablyazov

Noursoultan Nazarbayev


Mukhtar Ablyazov non c'è, i servizi segreti prelevano la moglie
La notte alla fine sarà breve. Una cinquantina uomini della Digos, i servizi segreti italiani, armati e tutti vestiti di nero, circondano la villa. "Stavamo dormendo quando ho sentito dei rumori, colpi di spranga contro le finestre e le porte," racconta oggi Alma Ablyazov in un memoriale consegnato ai suoi avvocati. Una trentina di loro irrompe nella villa, gli altri fuori, sorvegliano il giardino. "Avevano l'aria truce, uno di loro mi ha minacciato con la sua pistola e mi ha chiesto i documenti," ricorda Alma. "In un inglese stentato, misto ad italiano, l'uomo le ha chiesto di identificarsi e le mostra una fotografia: ho capito che stavano cercando mio marito". Il marito di questa donna dagli occhi a mandorla, è Mukhtar Ablyazov, ex ministro dell'energia e dell'industria del dittatore Noursoultan Nazarbayev. Diventato uno dei più importanti oppositori del presidente kazako, Mukhtar Ablyazov fuggì nel Regno Unito, dove ha ottenuto con la sua famiglia lo status di rifugiato politico. Quella notte, lui non c'è. Per proteggersi, Alma Ablyazov esibisce un passaporto dimostrando la nazionalità centro-africana che ha ricevuto recentemente, per motivi di sicurezza. Per l'agente, questo documento è un falso. “Puttana russa" Le grida addosso l'uomo agitando il passaporto. Accusata di possesso di passaporto falso, trattata come una clandestina, Alma Ablyazov viene prelevata con la forza assieme a suo cognato, che nel frattempo era stato pestato a sangue. Verrà rinchiusa in un centro di detenzione preventiva senza bere né mangiare per quindici ore di seguito. Le impediranno anche di vedere un avvocato.

Giudice svegliato all’alba e un aereo pronto a decollare
La mattina presto, i servizi segreti svegliano un giudice e gli chiedono di convalidare il provvedimento di espulsione. Poi, tornano a Casal Palocco e prelevano la figlia di Alma. La giovane donna e sua figlia sono condotte in automobile all'aeroporto, dove li attende un jet privato austriaco. Il pilota viene avvertito alle 5 del mattino di trovarsi sulla pista pronto per decollare in fretta. Sull'aereo, attendono due diplomatici kazaki. L'aereo decolla verso il Kazakistan. Missione compiuta: è passato un mese e il caso ha preso una brutta piega per il governo italiano, che ha già dovuto difendersi dinanzi il Parlamento. Sono state avanzate varie domande. Chi autorizzato il raid nella villa? Chi ha mobilitato i servizi segreti? Il numero due del governo, ministro dell'interno e rappresentante di Silvio Berlusconi in seno all’esecutivo di unità nazionale, così come il ministro degli affari esteri, la radicale Emma Bonino? "Non so niente ma cadranno delle teste," giura il vicepremier, Angelino Alfano. "Questa storia deve essere chiarita," ha detto il ministro Emma Bonino.

Annullamento del provvedimento di espulsione
Secondo la stampa italiana, i diplomatici kazaki dell’ambasciata a Roma avrebbero fatto ripetute pressioni al Ministero degli interni. Secondo il quotidiano di Milano Il Corriere della Sera, l’ambasciatore kazako avrebbe chiesto l'intervento del Ministero il 27 maggio, per l'arresto di un "uomo pericoloso, armato e ricercato in Kazakistan". Il diplomatico viene messo in comunicazione con il dipartimento di sicurezza interna. Il raid viene autorizzato un paio d'ore più tardi. L'Italia ha interessi economici in Kazakhstan tramite l'Eni, la compagnia petrolifera nazionale italiana. Si sarebbe invischiata nella faccenda per preservare la propria attività in questo stato ricco di gas e petrolio? La domanda è legittima. La settimana scorsa, il governo, che ha ordinato un'inchiesta, ja iniziato annullando l'ordine di espulsione. Una richiesta formale di rimpatrio è stata presentata al Kazakistan. L'annullamento dell'ordine di espulsione è un'importante vittoria. Ora la partita si gioca dal lato kazako e lì, non sarà facile", ammette un avvocato che cura gli interessi della famiglia Ablyazov.

Moneta di scambio
Da quando è stata espulsa, Alma Ablyazov è agli arresti domiciliari e il capo dello stato, Nursultan Nazarbayev, non ha alcuna intenzione di mollare ciò che considera come una moneta di scambio per ritrovare il suo dissidente, accusato di aver sottratto alla banca di cui era il dirigente, la BTA, 5 miliardi di dollari. In Italia, il caso potrebbe avere ulteriori sviluppi. Il Tribunale di Roma, a cui la famiglia Ablyazov si è rivolta, ha previsto una prima udienza il 25 luglio. Nel frattempo, i ministri dell'interno e degli affari esteri e il dipartimento di sicurezza interno dovrebbero fornire spiegazioni sui contatti con i diplomatici kazaki. E soprattutto cosa più importante, trovare il funzionario che ha firmato l'ordine di espulsione.

martedì 16 luglio 2013

Condannato a 7 anni di prigione, Berlusconi scende in in guerra per salvarsi la pelle.

Condamné à 7 ans de prison, Berlusconi en guerre pour sauver sa peau

di Marcelle Padovani
Pubblicato in Francia il 24 giugno 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



La condanna del “Cavaliere” nella vicenda Ruby potrebbe indurlo ad irrigidire il suo atteggiamento nei confronti del governo Letta.Sette anni di reclusione e l’interdizione [perpetua] dai pubblici uffici: la sentenza è arrivata alle 17:22 lunedì 24 giugno nell’aula del Tribunale di Milano gremita di avvocati e giornalisti. Ma Silvio Berlusconi non era presente, così come la sua principale accusatrice, il procuratore Ilda Boccassini. La pena è più pesante di quella che aveva richiesto il pubblico ministero. E se verrà confermata nei successivi gradi di giudizio, il "Cavaliere" dovrà rassegnare le dimissioni dalla sua carica di senatore.
"Il processo del secolo", hanno scritto. Effettivamente, è durato più di due anni, con 50 udienze, praticamente una a settimana. L’accusa era di concussione ed istigazione alla prostituzione minorile. Ricordiamo i fatti: il 27 maggio 2010, mentre Sua Emittenza, che allora era Presidente del Consiglio, si trova a Parigi, una ragazzina viene arrestata per furto e condotta in una stazione di polizia a Milano. Colpo di scena: Berlusconi in persona chiama il commissariato milanese alle 2 del mattino pretendendo che venga rimessa in libertà quella che chiama la "nipote di Mubarak". Però Karima el Mahroug, questo il suo vero nome, anche se si fa chiamare 'Ruby', non è egiziana ma marocchina, e non ha alcuna parentela con il dittatore del Cairo e in più è minorenne.

In guerra per salvarsi la pelle
E’ da lì che partono le indagini e l’incredibile storia dei bunga-bunga inizierà a dipanarsi, facendo il giro del mondo: nella Villa di Arcore, soprannominata improvvisamente "Villa hardcore", si svolgevano cene particolari che si concludevano con striptease e rapporti sessuali con escort, talvolta minorenni, regolarmente pagate dal padrone di casa. Uno scandalo senza precedenti, che Berlusconi tenterà di trasformare in un "complotto politico allo scopo di toglierlo di mezzo".
Resta da vedere ora come il condannato gestirà la sua ennesima sconfitta giudiziaria. Impensabili le sue dimissioni, anche se diventerà sempre più difficile per lui riuscire a mantenere un ruolo politico in Parlamento. Ciò che si teme è piuttosto un irrigidimento del suo atteggiamento nei confronti del governo Letta, appoggiato proprio dal Popolo delle Libertà: perché il "Caimano" ha tutto l’interesse a spostare l'attenzione su un'eventuale crisi dell'esecutivo, o addirittura sulle elezioni anticipate.
Ma Berlusconi combatterà le istituzioni, anche se venisse cacciato dal “Palazzo”, e rimanesse fuori dal Parlamento. Diventando così un vero leader "extraparlamentare", in guerra per salvare la sua pelle. Bella prospettiva per l'Italia, che ha già un leader di questo genere nella persona di Grillo e nel suo Movimento 5 Stelle. O meglio: una prospettiva insostenibile poiché Berlusconi e Grillo messi assieme, attualmente rappresentano i due terzi dell'elettorato.

Le mani della mafia sull’ambiente, in Italia





di Andrea Barolini
Pubblicati in Francia l'8 luglio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano

Dalle nuove fonti di energia alla Torino-Lione, dal problema dello smaltimento dei rifiuti a quello dell’abusivismo immobiliare, la mafia è sempre più presente in tutti i settori dell'ambiente. Questo è ciò che emerge dal rapporto Ecomafia, presentato per la prima volta in Francia.
34120 crimini, 28132 persone denunciate alle autorità, 161 agli arresti domiciliari, 8 286 pignoramenti giudiziari e un fatturato di quasi 17 miliardi di euro. È la fotografia della criminalità ambientale italiana: un gigantesco business, oggi gestito da 302 clan mafiosi.
Per anni, anzi decenni, le infiltrazioni criminali nella gestione dei rifiuti o nello sviluppo delle energie rinnovabili sono aumentate in modo incredibile. E le cifre – diffuse dal rapporto 2013 di Ecomafia, la più completa relazione sul ruolo della criminalità organizzata in Italia nel settore dell'ambiente, compilato dall'associazione ecologista Legambiente - sono eloquenti.
Ciò che preoccupa maggiormente le autorità italiane è la distribuzione geografica dei crimini: la maggior parte (45,7%) sono localizzati ancora nelle quattro regioni con la più alta presenza mafiosa (Sicilia, Campania, Puglia e Calabria), ma anche nel Lazio (regione della capitale, Roma) e in Toscana (con Firenze, Siena e Pisa). Inoltre, il numero di reati è in netta crescita: + 15,4% nel 2012 rispetto al 2011. 
Questa è una delle conseguenze della ramificazione al centro-nord della mafia che arriva da Napoli e Caserta, le due "capitali" della camorra, una mafia estremamente attiva soprattutto nella gestione dei rifiuti. 
È probabilmente per lo stesso motivo che l’Umbria è passata in un solo anno dal sedicesimo all'undicesimo posto nella “classifica” delle regioni meno virtuose. Ma preoccupanti sono anche i numeri che riguardano il nord del paese, lontano dal "quartier generale" mafioso del sud: i reati ambientali nel Veneto sono aumentati del 18,9% rispetto al 2011, mentre la Liguria ha registrato un incremento del 9,1% dei reati.


L’economia illegale incassa nonostante la crisi
"L'economia dell’Ecomafia - ha detto il Presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza in un comunicato stampa - è l'unica economia italiana che risulta in crescita in un contesto di crisi diffusa, riuscendo a costruire abitazioni abusive allo stesso ritmo degli anni precedenti, mentre il mercato immobiliare nazionale crolla.
È un'economia che nasce da una comunione d’interessi tra imprenditori senza scrupoli, sindaci e amministratori collusi, funzionari corrotti, professionisti privi di etica e boss della mafia. Falsificano documenti e bilanci e operano grazie al “dumping” ambientale, all'evasione fiscale, al riciclaggio di denaro, alla corruzione, alla compravendita di voti e alle infiltrazioni in appalti pubblici.
Non è solo l’aspetto economico dell’affare che attira la mafia, ma la prospettiva dell'impunità. Infatti, la maggior parte dei tribunali italiani riescono a sanzionare tali reati soltanto dal punto di vista amministrativo: basta quindi pagare una multa per regolare i conti con la giustizia.
La cosa è molto evidente nel settore immobiliare. Il numero di edifici costruiti abusivamente è passato dal 9% del totale delle costruzioni nel 2006 al 16,9% (stimato) nel 2013. Nello stesso periodo, i numeri degli edifici a norma sono crollati da 305 000 a 122 000, mentre quelli abusivi hanno subito solo un lieve calo.
Questo fenomeno si verifica principalmente perché il mercato illecito è sostenuto dai prezzi che può garantire: il costo medio per costruire un'abitazione è di 155 000 euro in Italia, mentre se si sceglie l’abusivismo, verrà a costare non più di 66.000 euro in media. Certamente, ci sono dei rischi. Ma tra il 2000 e il 2011, giudici hanno ordinato soltanto 46 760 demolizioni, di cui appena il 10,6% sono state eseguite...

Rifiuti, settore agroalimentare, energie rinnovabili: nulla sfugge
I reati contro l'ambiente non risparmiano alcun settore. Legambiente ricorda che nel 2012 i crimini contro la sicurezza alimentare - nella filiera agricola - sono stati 4.173 (più di 11 al giorno), e i giudici hanno ordinato sequestri per un valore nominale di 672 milioni di euro.
Inoltre, l’Ufficio Centrale Antifrode indica che la quantità di materiale sequestrato alle dogane dei porti italiani è raddoppiata tra il 2011 e 2012, passando da 7.000 a circa 14000 tonnellate. Si tratta principalmente di materiali ufficialmente destinati al riciclaggio - plastica, carta o acciaio - ma che sono in realtà spediti in Corea del sud, Cina, Hong Kong, Indonesia, India o Turchia.
Questi flussi garantiscono ai mafiosi enormi quantità di denaro e danneggiano doppiamente l'economia: primo, perché riescono a deviare fondi statali destinati al riciclaggio dei rifiuti e secondo, perché essi intaccano l'ambito delle aziende in regola. Basta infatti presentare qualche documento falso per essere accreditati come “azienda di riciclaggio”.

Le nuove fonti di energia invase dalla mafia
Lo stesso problema si verifica nel settore delle energie rinnovabili, che sono sostanziosamente finanziate dalle amministrazioni pubbliche italiane ed europee. Un “tesoro” che non è sfuggito all'attenzione dei clan mafiosi:
"Le organizzazioni criminali - ha confermato la DNA (direzione nazionale Antimafia) nella sua ultima relazione annuale - sono molto interessate a impianti di energia pulita, perché beneficiano di sovvenzioni. Per stornarle a loro vantaggio, la mafia corrompe funzionari e le autorità che gestiscono le procedure di autorizzazione”.


Una corruzione in crescita … fino alla Torino-Lione
La corruzione è il cuore del problema. Secondo la DNA, gli arresti per corruzione sono raddoppiati durante la prima metà del 2012 rispetto agli ultimi sei mesi dell'anno precedente. In particolare, le indagini giudiziarie sui casi di «corruzione ambientale», tra gennaio 2010 e maggio 2013, hanno raggiunto la cifra impressionante di 135.
Tangenti pagate ad amministratori, rappresentanti politici e funzionari pubblici garantiscono l’emissione di concessioni per costruire abitazioni, autostrade, discariche, parchi solari o centrali eoliche. Solo nel 2012, venticinque amministrazioni comunali sono stati sospese per infiltrazioni mafiose, inclusa quella di Reggio Calabria, che conta più di 186.000 abitanti.
"La debolezza strutturale della pubblica amministrazione è stata terreno fertile per la criminalità organizzata non solo per motivi economici, ma anche semplicemente per rimarcare la propria supremazia sul territorio,", ha dichiarato Valerio Valenti, prefetto siciliano, nel suo comunicato stampa. Valenti ha fatto pressioni per la nomina di un Commissario prefettizio nell’amministrazione locale calabrese.
Recentemente, una notizia molto preoccupante è arrivata anche della Val di Susa, in Piemonte, dove è prevista la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Dopo i controlli sui fornitori, una società con sede a Rovigo (in Veneto) è stata esclusa perché non aveva passato i controlli obbligatori antimafia. Si tratta della Pato Perforazioni, che non dovrebbe essere più presente in cantiere. Ma, secondo le informazioni pubblicate sul sito TG Valle Susa, non ha ancora abbandonato i lavori... 

lunedì 3 giugno 2013

Quanto frutta il blog di Beppe Grillo?

Combien rapporte le blog de Beppe Grillo ?

di Philippe Ridet
Pubblicato in Francia il 21 maggio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli


Una gallina dalle uova d’oro o una “bad company”? Da domenica sera, quando è andata in onda  nella trasmissione di Rai3 “Report”, un’inchiesta su patrimoni nascosti dei partiti politici, è scoppiata la nuova polemica italiana. Il blog di Beppe Grillo, uno dei più visitati d’Italia, frutta denaro ai suoi dirigenti, in questo caso alla società Casaleggio Associati attraverso la quale passano tutte le comunicazioni del Movimento 5 Stelle (M5S)? e, se sì, quanto?



Ironia della sorte, è la giornalista Milena Gabanelli, scelta dai militanti del M5S come loro candidata alla Presidenza della Repubblica, che ha osato sollevare la questione…
Il minimo che si possa dire è che alcuni simpatizzanti l’hanno presa piuttosto male, riservando alla giornalista adulata fino a un mese fa, aggettivi come “traditrice” o peggio. Altri, al contrario, l’hanno appoggiata, chiedendo ai primi, un pò di “coerenza”. I loro commenti si possono leggere sul blog di Beppe Grillo… sapendo che, secondo i calcoli del quotidiano Il Sole 24 Ore, la pubblicità on line sul sito dell’ex comico renderebbe tra i 5 ed i 10 milioni di euro all’anno.
Martedì, 21 maggio, una risposta parziale dall’esplosivo genovese è arrivata attraverso una nota del blog. Creato nel 2005, gestito da tre persone, avrebbe dovuto chiudere, ha spiegato, se a metà del 2012 non fosse stato deciso di introdurre la pubblicità. L’esercizio fiscale 2011 ha generato una perdita di 57.000 euro (coperto dalla società Casaleggio Associati). Si aspettano ora le cifre per il 2012…



Il denaro è sia la punta di diamante che il punto debole del Movimento 5 Stelle, non solo perché Beppe Grillo è personalmente abbastanza ricco, come il co-fondatore del Movimento Roberto Casaleggio. Dopo aver costruito il suo successo sulla denuncia dei vizi dei politici che accusa (non sempre a torto) di “riempirsi le tasche“, giocando a fare i virtuosi in un oceano di corruzione, aver promosso la trasparenza nel finanziamento dei partiti politici e minacciato i propri eletti di esclusione se spendono un solo euro di denaro pubblico senza giustificazione, Beppe Grillo si è messo i bastoni tra le ruote.
Coraggiosamente, “la” Gabanelli, che ha una lunga esperienza in merito (la sua trasmissione è stata querelata circa venti volte per “diffamazione” senza ancora  mai essere stata condannata), ha detto semplicemente: “Faccio il mio lavoro. Se il Movimento fornirà dei chiarimenti, li manderemo in onda.”

martedì 28 maggio 2013

Vedi Napoli e poi muori

Voir Naples et pourrir

di Marcelle Padovani
Pubblicato in Francia il 16 maggio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Il commissariato San Gaetano si trova ad affrontare una serie di crimini inspiegabili, in una Napoli inedita, piovosa, malinconica e grigia, una città diventata “diffidente, oscura, indecifrabile”, come dice l'ispettore Giuseppe Lojacono, 45 anni. Tre giovani, le cui origini sociali e i luoghi di residenza non hanno alcun legame apparente, sono stati assassinati in meno di dieci giorni.



Nessuna relazione con la camorra, la regina regina locale del crimine, ne’ con un eventuale delitto passionale. Un’unica arma: una banalissima calibro 22, fa pensare che il colpevole non sia un professionista. Un unico indizio: dei Kleenex impregnati di lacrime. La stampa s’impadronisce dell’enigma e ricama su questi fazzoletti bagnati: "lacrime di coccodrillo" versate da un assassino che si è commosso prima di "smembrare le sue vittime”. Questo giustifica il suggestivo titolo scelto da Maurizio De Giovanni, “Il metodo del coccodrillo”, suo settimo romanzo poliziesco dal 2005, data a partire dalla quale ha raccolto numerosi premi letterari e occupato i vertici delle classifiche italiane.
Ma non è la sola particolarità di questo giallo napoletano, che arriva oggi nelle librerie francesi. Sapevamo che ogni grande città o regione italiana aveva il suo proprio autore di thriller - Camilleri per la Sicilia, De Cataldo per Roma, Lucarelli per Bologna, Carofiglio per Bari, Todde per Cagliari - e ora anche Napoli ha anche il suo autore autoctono, in grado di riprodurne il lessico e le atmosfere.
"Ciò che domina la mia città, è l'odore della sofferenza”, dice Maurizio di Giovanni fin dall'inizio. Pur vivendo da sempre in quartieri chic, il suo vero nome infatti è Maurizio De Giovanni Di Santa Severina, lui Napoli la conosce bene. Ed è in questo mondo “borghese”, che racchiude il teatro San Carlo, Piazza Plebiscito, il lungomare di via Caracciolo, il caffè Gambrinus - un vero e proprio monumento - e via dei Mille, che si intrecciano i suoi racconti. "Napoli per me è come una madre invadente e rumorosa, in definitiva impresentabile, ma inevitabile".
Qui nasce questo romanzo doloroso, scevro da qualsiasi folklore e da qualsiasi tentazione gastronomica o sessuale, a differenza dei gialli che si rispettano. L'ispettore è un uomo attirato da due donne estremamente diverse: l’affascinante magistrato, alta e snella, con cui svolge le sue indagini, e la prosperosa proprietaria di una trattoria dove abitualmente cena. Anche se la sua unica vera preoccupazione è sua figlia, che vive in Sicilia in compagnia di una moglie che ha abbandonato il tetto coniugale, quando Loiacono è stato accusato da un "pentito" di aver passato delle informazioni alla mafia.
“Trasformare la sofferenza in cultura” Alla fine del libro non si scoprirà se queste accuse erano fondate, ma sono servite per fare dal nostro ispettore un reietto, un uomo che soffre. Un uomo anziano e imperscrutabile alla stregua dell’assassino, parimenti segnato da qualche tragedia personale e capace di girovagare senza sosta per la città fino al mattino, moltiplicando le indagini e i controlli metodici, sempre rimanendo nell’ombra. 
Il male di vivere è sicuramente l'ingrediente principale di questo libro. E di primo acchito sembra strano che si svolga nella città dei mandolini, dei pini, delle canzoni popolari e della pizza. Ma si capisce subito, parlando con De Giovanni, che invece la vera specialità di Napoli è quella di saper da sempre “trasformare la sofferenza in cultura”. Ed è a causa di questo dolore comune che si stabilirà una comunicazione "intellettuale" tra il boia e il suo inseguitore.
"Il confine tra bene e male è molto sottile," ripete di Giovanni, che sta scrivendo il suo ottavo thriller. Come il suo ispettore, ha uno sguardo penetrante, freddo, e come lui ha anche scelto di condurre una doppia vita: la prima metà della settimana, fa il direttore di banca, e l’altra metà seduto alla sua scrivania racconta le "anime nere" che abitano la città, un tempo la “capitale culturale” italiana.

giovedì 2 maggio 2013

Il potere secondo Cacciari e il cambiamento degli italiani

La machine théologique-politique qui gouverne l'Italia

di Mario Cifali
Pubblicato in Svizzera il
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano
Cacciari

La macchina teologico-politica che governa l’Italia

Mario Cifali, psicanalista italiano, parte da un recente libro del filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari per denunciare l’ipocrisia e l’impostura che secondo lui spadroneggiano nella penisola da duemila anni.
Massimo Cacciari è un filosofo considerato liberale e populista dall’Italia social-democratica. E’ stato sindaco di Venezia. Wikipedia parla di una sua relazione sentimentale con l’ex-moglie di Berlusconi. Il suo ultimo libro, “Il potere che frena” (Ed. Adelphi) è un best-seller editoriale.

Della seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, precisamente della forza politico-religiosa che frena il dilagare del male e il trionfo del bene, Cacciari fa il suo obiettivo. Scrive a tal proposito un commento filosofico e sacerdotale, o meglio: prende in esame l’eredità cristiana che, secondo Nietzsche, è “la più alta forma immaginabile di corruzione”.
Numerosi filosofi italiani fanno la corte al potere. Cacciari non ne è esente. Il suo discorso, dai forti toni accademici, è prigioniero di un metodo per nulla innocente nel paese del papato, un metodo che sfugge i colpi di martello nietzschiani: “Combattere le bugie più sacre ancor più che qualsiasi altra bugia.”
Prendendo a testimonianza la forza reazionaria dilagante, Cacciari affronta i legami tra teologia e politica, più per combatterne la nevrosi che per metterli in discussione. Poco gli importa che i presunti stati superiori, quelli che la Chiesa valorizza, siano delle credenze deliranti: “Credo perché è assurdo” (Tertulliano). Ha costruito piuttosto un’interpretazione sulla connaturalità tra sovranità politica e teologica. Non secondo le teorie di Freud, per il quale la religione è dipendente della nevrosi infantile, o secondo quelle di Carl Schmitt, per cui i concetti politici sono di origine teologica. Ciò che il filosofo sostiene è un rapporto ambivalente fatto di obblighi e di compromessi tra sovranità religiosa e politica, in cui credere significa non voler sapere.

Figlia millenaria della chiesa romana, la politica in Italia è prigioniera di superstizioni che agiscono all’interno delle masse e dei governanti. Gli antichi dei sopravvivono celati dalla maschera dei nuovi. Cacciari adula gli uni e gli altri senza aprire gli occhi. Evita i pensatori non convenzionali che frugano tra ciò che per venti secoli hanno frainteso, come per esempio Giordano Bruno e, più vicino a noi, gli psicanalisti. E non si azzarda nell’analisi del non sapere, ancor meno in quella del sapere che non conosce: l’inconscio in senso freudiano.
Leggendo questo filosofo, non è chiaro chi nella religione o nella politica incarna la “vera Circe dell’umanità, la peggiore forma morale della volontà di mentire”. Una difficoltà insolubile è infatti al centro delle sue elucubrazioni. La sua retorica blocca la scomoda apertura e piega il dibattito di fondo che mette in contrasto, fin dall’inizio dell’era cristiana, il parlare di amore della verità con la menzogna politico-clericale.
In Italia, il potere che idealizza, sia esso politico o ecclesiastico, tiene il passo alle forze che egli dice di combattere, inadatto a promuovere una lotta di liberazione. In lui, sovranità “spirituale” e “laica” si intrecciano l’un l’altra inzaccherandosi. I principi neri non sono mai bianchi. La maggior parte dei politici sono credenti. Il godimento sessuale non si fa sfuggire nessuno alla sua influenza: che si tratti di un prete, un Papa o un Cavaliere. Gli scandali parlano da sé. Politica e religione governano per i propri interessi. Restare in vita è il loro scopo. Dichiarare “Dio è la verità” – che si tratti di denaro o santità – è più importante rispetto al dichiarare “la verità è Dio”.

Le proposte di Cacciari hanno un merito: rendere tangibile l’impostura della politica giudaico-cristiana. Agostino, Dante e Dostoevskij sono gli scrittori che egli mette in mezzo e sconfigge. Uno vuole detronizzare la sacralità del potere imperiale, l’altro lotta contro il potere ecclesiastico e, nel XIX secolo, il terzo vuole rievocare l’Anticristo. Nello stesso periodo, in Italia vede la luce la personificazione delle altezze e delle profondità senza eguali, né superman né fascista: Zarathustra-Nietzsche. Con lui, la verità dell’analisi affronta i furfanti e le scelleratezze; smonta, come mai prima, gli ingranaggi della macchina teologico-politico.
Nel paese dei Papi, il potere che rallenta è il sintomo. Appoggia la fondatezza del sistema e contemporaneamente proclama che deve cambiare. Tra il messaggio di Gesù, la Chiesa cattolica e i politici italiani, di sinistra e di destra, che fanno la comunione di domenica, c’è più di una ipocrisia, più di una decadenza. Solo una parola di verità, paragonabile a quella di uno Zarathustra, potrebbe infrangere i codici in decomposizione.
Uno può sognare, ma non deve confondersi. Chiedere agli italiani di modificare le proprie credenze è difficilmente immaginabile. La maggior parte non ha alcuna intenzione di cambiare il proprio rapporto di soddisfazione con la religione, la politica e, ultima ma non meno importante, con la donna. In Italia, nessuna riforma profonda e duratura può emergere senza passare prima attraverso un cambiamento individuale. “Sono gli uomini che devono cambiare,” mi ha detto una volta un albergatore di Capua, non lontano da Napoli.

giovedì 18 aprile 2013

L’Italia, Beppe Grillo e il costo della paralisi

L'Italie, Beppe Grillo et le coût de la paralysie

di Pierre de Gasquet
Pubblicato in Francia l'8 aprile 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

La terza economia nell'area dell'euro è stata presa in ostaggio da un movimento di protesta che ha come unico obiettivo indebolire i partiti tradizionali.




Sei settimane di perdite, tre mesi di governo provvisorio e l'Italia, terza potenza economica economica della zona euro, si ritrova ad essere ostaggio di un movimento di protesta che ha fatto dell'indebolimento dei partiti il suo obiettivo prioritario... Unico apparente vincitore delle elezioni legislative del 24 e 25 febbraio, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo (M5S) è riuscito finora a far deragliare qualsiasi tentativo di formazione di un governo. Ma si tratta di una vittoria a doppio taglio. Oltre al rischio di instabilità politica, c’è la minaccia di stallo permanente di un'economia fortemente indebitata che comincia a preoccupare, cosa che farebbe crollare il fragile equilibrio messo in discussione da Mario Monti.

"Più che Cipro, è il fattore Grillo che diventa il vero problema dell'Unione europea," ha recentemente dichiarato l’economista di Goldman Sachs, Jim O'Neill, dopo avergli dato inizialmente il beneficio del dubbio. “L'Italia è completamente ferma. Le aziende chiudono. Aumenta la disoccupazione. E la politica perde tempo” dice Matteo Renzi in un'intervista del 4 aprile al Corriere della Sera. Candidato perdente delle primarie della sinistra nel 2012, ma ora considerato come il potenziale di "rimedio" più credibile dal 55% degli italiani, il sindaco di Firenze ha abbandonato le riserve criticando la nomina di un collegio di dieci saggi chiamati a gettare le basi per un programma di governo bipartisan di emergenza.

Puro spreco di tempo? Dopo il fallimento della diplomazia "morbida" di Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi sembra ora una delle pochissime risorse “agguerrite” credibili, anche se la sua proposta di compromesso con lo schieramento di Silvio Berlusconi è ancora confusa. È anche uno dei pochi ad aver denunciato l’"arroganza" del M5S di Beppe Grillo quando afferma "il diritto alla dignità della politica”. In un certo senso, la sua esternazione riflette l’esasperazione di gran parte degli ambienti economici che iniziano mettere in dubbio la validità della politica di ostruzionismo sistematico dell’ M5S.

"Coloro che hanno votato per il M5S, credendo di poter fare un accordo di governo con i vecchi partiti, hanno sbagliato voto. Che votino per un partito, la prossima volta!” martella Beppe Grillo rifiutando qualsiasi dialogo con il Partito Democratico (PD). Anche se la stampa italiana evoca un malessere o un inizio di fronda interna, i pochissimi dissidenti a favore di un'apertura con il Partito Democratico sono stati duramente redarguiti dal leader del movimento e minacciati di espulsione. Non vogliono avere nulla a che fare con i vecchi partiti responsabili degli scandali finanziari (Parmalat, Monte dei Paschi di Siena...)! Emerge l'impressione, tuttavia, che il capitale di simpatia goduto dall’M5S all'indomani del voto del 25 febbraio cominci a sgretolarsi.

Eccetto l’appoggio atipico del patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, e del Presidente di UniCredit, Giuseppe Vita, il fondatore del M5S è lontano dal fare un passo in avanti negli ambienti d'affari italiani. Tranne alcune interviste sapientemente misurate concesse al quotidiano The Guardian o alla rivista tedesca Focus sul “crollo dei vecchi partiti ", Beppe Grillo non ha in verità rivelato nulla sulle sue concrete proposte economiche e sociali. Nonostante la sua promessa di un “immediato” piano per il rilancio delle piccole e medie aziende, tutto suggerisce che l'incertezza che ha prevalso sul suo programma (reddito minimo garantito, referendum sull’euro, tassa patrimoniale...) soltanto in parte ispirato a “Premio della disuguaglianza” dell'economista americano Joseph Stiglitz serva soprattutto a mettere tutti nello stesso calderone se si dovesse tornare alle urne.

Gli imprenditori scalpitano, i sindacati diventano impazienti. Tra il decollo traballante del “calabrone” Bersani e il rischio di un duro atterraggio, il Quirinale ha preferito dare tempo al tempo. In mancanza di una grande coalizione alla tedesca, la politica italiana rischia di farsi invischiare in una forma permanente di inciuci. Tutto è congelato: in assenza di accordo, il governo provvisorio di Mario Monti ha dovuto rimandare il suo decreto sul rimborso molto parziale dei 90 miliardi di euro di arretrati di debito dell'amministrazione pubblica al settore privato, promesso da diverse settimane. Domanda interna, produzione industriale e crediti alle imprese: tutti gli indicatori sono in rosso nella Penisola. Non c'è dubbio che il costo dell'immobilismo rischia di divenire particolarmente oneroso a medio termine. Secondo un recente studio pubblicato sul sito Lavoce.info, se lo stallo dovesse perdurare, il costo dell'incertezza potrebbe ridurre il PIL dello 0,8 per cento nel 2013-2014, e far passare il debito dal 127 % al 135% del PIL entro il 2015.

Nonostante questo clima di paralisi, alcuni non escludono che l'”effetto Grillo” possa ancora servire come una scossa "salutare", favorendo, ad esempio, l'emergere di una candidatura di Renzi per il centro-sinistra. "Ormai, la sinistra deve cambiare profondamente se non vuole fermarsi al 25%” ha dichiarato di recente l'economista Francesco Giavazzi (Università Bocconi), in un suo intervento ad Harvard, in cui si è detto convinto che il Paese tornerà alle urne tra giugno e ottobre.

Oltre a un accordo tattico provvisorio, contro natura, tra la sinistra italiana e Silvio Berlusconi, per fare una riforma elettorale di emergenza e affrontare le cose più urgenti, non c’è nessun segnale evidente di come il Paese potrà evitare nuove elezioni. Votare di nuovo o andare all’indietro: questo è l’attuale dilemma italiano. La versione ottimistica è che il M5S può fungere da catalizzatore. "Meglio Grillo che la rivoluzione in piazza" dice in confidenza un banchiere milanese.


venerdì 15 marzo 2013

E se gli italiani avessero ragione?

Et si les italiens avaient raison?


di Guy Sorman
Pubblicato in Svizzera l'8 marzo
Traduzione di Claudia Marruccelli per il Fatto Quotidiano

Di norma comune fuori dell’Italia e specialmente nell’ambito economico e mediatico europeo schernire quei poveri italiani che hanno avuto l’audacia di sbarazzarsi del loro Primo ministro, Mario Monti, economista esperto, e di acclamare due clown (così li ha definiti il londinese The Economist, di solito più cauto), Beppe Grillo e Silvio Berlusconi. La democrazia in Italia non sarebbe forse più apprezzabile se i risultati coincidessero con ciò che auspicano i non italiani, gli eurocrati, il Banco di Francoforte e, soprattutto, il governo tedesco?
Piuttosto cerchiamo di interrogarci sull’adeguatezza della scelta degli italiani: dopo tutto, l’elettore italiano non è né più sciocco né meno qualificato di un elettore spagnolo o francese. Iniziamo dalla disfatta di Mario Monti, economista indiscutibilmente qualificato. Ricordiamo che non era stato eletto, ma è solo stato un tecnocrate chiamato in soccorso da una classe politica disorientata dal proprio debito. Non dovremmo incolpare gli italiani di non aver concesso né consenso popolare né legittimità democratica a Monti, che nessuno immaginava si sarebbe candidato.

Il messaggio dell’Italia vale per tutta l’Europa in crisi: il dispotismo, seppur illuminato, non è, in tempi di crisi, una soluzione tollerata dai popoli. Aggiungiamo che un tecnocrate capace può affascinare gli esperti e allo stesso tempo non essere in grado di spiegare la fondatezza della politica che lui stesso ha imposto alle masse. Ecco la seconda ragione per il rifiuto di Monti: la cosiddetta politica definita di austerità era incomprensibile per i comuni mortali e i suoi risultati visibili solo agli esperti.
Ora chiediamoci come gli italiani hanno avuto il coraggio di rieleggere Silvio Berlusconi, mentre la politica istituzionale europea non voleva più saperne. È che Silvio Berlusconi è perfettamente in sintonia con gran parte della società italiana, soprattutto con il mondo dei piccoli imprenditori che si riconoscono in lui. E questi piccoli imprenditori, che odiano la burocrazia, le leggi e le tasse, rappresentano ancora la spina dorsale dell’economia italiana. Senza queste migliaia di imprenditori disseminati per tutto il paese, l’Italia sarebbe rimasta il povero paese di cinquant’anni fa. L’innegabile successo dell’economia italiana deve tutto a questa classe sociale e quasi nulla allo stato.
Quanto a Beppe Grillo, l’altro clown, quello vero, non occorre dilungarsi: va solo ricordato che il voto di protesta raggiunge facilmente il 20% in tutte le democrazie europee, un fronte del rifiuto che ovunque mette assieme sia l’estrema sinistra che l’estrema destra.
Al di là delle circostanze molto locali che occorre tener presente per capire queste elezioni, il messaggio italiano ha un significato per tutta l’Europa. Gli europei vogliono ora una politica economica che sia comprensibile ed efficace. Una politica siffatta pretenderebbe (lo abbiamo più volte affermato sul nostro settimanale) non l’equilibrio dei bilanci pubblici in sé, ma un tetto di spese massimo, o anche una riduzione della spesa pubblica.
All’estremo, una percentuale d’imposta del 100% che pareggi tutti i bilanci: la Francia non è molto lontana con il 44% del prelievo pubblico e un progetto fiscale del 75%. Aumentare le tasse per pareggiare il bilancio dello Stato non può far altro che distruggere le imprese e i posti di lavoro: le politiche cosiddette del rigore non porteranno quindi ad una ripresa economica, a meno che il rigore non si applichi agli interventi pubblici e non agli investimenti e ai consumi privati.

Ma siccome è più facile aumentare le tasse che ridurre la spesa pubblica, la pressione fiscale aumenta dappertutto: i risultati non sono convincenti. Che cosa accadrebbe, mi si potrebbe obiettare, ai servizi pubblici e alla solidarietà collettiva se la spesa pubblica diminuisse ulteriormente? Beh, sarebbe possibile, o anche necessario – finalmente – privatizzare, snellire e anche incoraggiare la filantropia, questo terzo settore né capitalista né socialista, ma utile e spesso efficace (soprattutto negli Stati Uniti, dove dare è un obbligo morale e sociale per i super ricchi).
Gli italiani avranno quindi fatto una buona azione per se stessi e per tutti gli europei, se sarà compreso il loro messaggio e se da ciò scaturirà un pensiero economico per l’Europa, che sarebbe innovativo, legittimo ed efficace. E’ possibile.

giovedì 7 marzo 2013

ECCO COME HOLLANDE STA PER SPRECARE 11 MIL

Lyon-Turin : comment Hollande s’apprête à gaspiller 11 milliards d’euros

di Sophie Chapelle
Pibblicato in Francia il 21 gennaio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli e Chiara Cavedoni

Collegare Lione a Torino in due ore, una bella idea... al costo faraonico di 26 miliardi di euro! Eppure, è questa la cifra che i governi francese e italiano hanno in mente di spendere per realizzare una linea ad alta velocità scavata sotto le Alpi. Previsioni di traffico in ribasso, conflitti di interesse, perdita di terreni agricoli, mancanza di dibattiti pubblici, inquinamento della Val d’Isère e della Maurienne... Gli oppositori denunciano un "grande progetto di pubblica inutilita'". Inchiesta.




Si tratta di un gigantesco progetto, già vecchio di vent'anni. La realizzazione della linea ferrovia ad alta velocità Torino-Lione prevede la realizzazione sotto le Alpi della galleria più lunga d'Europa (57 km). Iniziato negli anni novanta da François Mitterrand, il progetto è stato riproposto all’ordine del giorno in questi ultimi mesi da François Holland. Il 3 dicembre, a fianco del Presidente del Consiglio italiano Mario Monti, ha ribadito l'interesse del progetto transalpino firmando una “dichiarazione congiunta sul tunnel Lione-Torino”. In questo modo François Hollande ha impegnato lo stato francese a finanziare il 42% del progetto. Vale a dire 11 miliardi di euro! Obiettivo di questa spesa: collegare Lione e Torino in due ore e Parigi e Milano in quattro e mezzo.
Sul lato italiano il progetto suscita una vasta opposizione da parte dei "No Tav". Tra occupazioni del cantiere, scontri contro le forze dell'ordine, e proteste di migliaia di persone, i No Tav sono riusciti a ritardare per diversi anni l’inizio dei lavori. “Notre-Dame-des-Landes [paese della Loira dove è in progetto la costruzione di un grande aeroporto, con una forte opposizione da parte della popolazione residente, N.d.T.] e No Tav sono due compagne di lotta. In entrambi i casi ritroviamo l’intervento attivo del governo per impedire ogni forma di espressione attraverso la forza militare" sostiene Paolo Prieri, uno dei coordinatori italiani degli oppositori. In Francia la contestazione si fa più forte. Ma la repressione da parte dell’esercito procede di pari passo.

Milizie private per proteggere il cantiere?Il governo italiano, ansioso di iniziare rapidamente il cantiere - a causa di un possibile ritiro dei fondi europei - ha mobilitato 2 000 carabinieri nel giugno scorso per proteggere l’avvio dei lavori: la costruzione della galleria della Maddalena, vicino a Susa. Secondo il sito La Voix des Allobroges, il costo delle forze di polizia sarebbe di quasi 868 milioni di euro, per 56 mesi di cantiere. Quello dei lavori per questa galleria è stimato a 143 milioni di euro...
Il cantiere della linea Lione-Torino potrebbe trasformarsi in una “zona militare di interesse strategico” su entrambi i lati del confine? La società LTF (Lyon Turin Ferroviaire), partecipata di Réseau Ferré de France - che gestisce la rete ferroviaria nazionale - e della sua omologa italiana, Rete Ferroviaria Italiana, sta "svolgendo degli studi e dei sopralluoghi” per la sezione transfrontaliera della linea. I suoi poteri sembrano andare oltre [le sue prerogative]. Nel settembre 2012 la società ha pubblicato una gara d’appalto per un valore di 1,8 milioni di euro per il "supporto logistico alle forze dell’ordine presenti nell’area del cantiere”.
Attraverso questo sistema, RFF contribuirà quindi al pagamento di milizie private per garantire la sicurezza del cantiere sul lato italiano. “Questo è molto grave” sottolinea Paolo Prieri “soprattutto perchè avviene nella più totale assenza di trasparenza. Ma le pressioni non avranno effetto su di noi, siamo intenzionati a non mollare."

Un costo equiparabile al deficit della Previdenza socialeIl costo per la sicurezza del cantiere aggrava un conto già salato. [Il costo del] tunnel tra l'Italia e la Francia era stato inizialmente stimato a 8,5 miliardi di euro. Ma "i costi preventivati stanno aumentando" ha fatto notare la Corte dei Conti, che ha inviato un rapporto al Primo Ministro Jean-Marc Ayrault lo scorso agosto. La stima del costo complessivo è passata da 12 miliardi di euro, compresi l'accesso al tunnel sul versante francese e il rafforzamento delle misure di sicurezza nelle gallerie, a 26 miliardi!
Il costo della sola parte francese sarebbe superiore agli 11 miliardi euro, l'equivalente della previsione del deficit della previdenza sociale nel 2013. La Corte dei Conti ne prevede la revisione, poichè questo preventivo non tiene conto delle difficoltà geologiche rivelate dai primi scavi. “I dati disponibili sul progetto ferroviario Lione-Torino rendono difficoltosa una valutazione dei costi” cosa più grave che osserva la Corte dei Conti. Il settimanale Politis dichiara che sarebbero stati pagati più di 10 milioni di euro per lo scavo della galleria di Venaus [sul lato italiano, N.d.T.], che non ha mai visto la luce. Uno specchio della dubbia gestione del progetto da parte della direzione dei lavori, affidata alla società Lyon Turin Ferroviarie.
Nonostante queste riserve, Jean-Marc Ayrault va avanti e firma. Nella sua risposta alla Corte dei Conti, datata 8 ottobre, ha ribadito l'impegno del governo nel voler realizzare il tratto ad alta velocità. Ha riconosciuto tuttavia che “il bilancio per la realizzazione di questo importante progetto è impegnativo, soprattutto in un momento in cui deve essere controllato il livello di spesa pubblica. Pertanto, il coinvolgimento dell'Unione europea nel finanziamento è indispensabile". La partecipazione finanziaria europea dipende dal futuro bilancio europeo 2014-2020. Oltre a questo apporto, l’Eliseo prenderebbe in considerazione il ricorso ai finanziamenti della Banca europea per gli investimenti, e a prestiti obbligazionari. In breve: indebitarsi prima dell’inizio dei lavori con il solo scopo di collegare Lione e Torino in due ore...

Un progetto ecologico?Il governo Ayrault giustifica questo faraonico investimento con l’obiettivo di ridurre il traffico su gomma - e le emissioni di CO2 - trasferendolo su rotaia . "Tutti gli studi hanno puntato su un unineluttabile aumento del traffico stradale. Ma di fatto il traffico merci sull'asse Lione-Torino è in calo” sostiene Daniel Ibanez, membro del comitato contrario ai lavori. Nel 2011, il [volume del] trasporto merci è stato effettivamente equivalente a quello del 1988 [1]...
"Il rischio di saturazione delle infrastrutture esistenti, ad oggi non è previsto prima del 2035" conferma la Corte dei Conti. Dato, questo, che rimette seriamente in discussione la rilevanza del progetto. Chi è contrario ai lavori aggiunge che la linea esistente è utilizzata soltanto per il 20% della sua capacità. E suggerisce di costruire piattaforme di carico, promuovere il trasporto combinato, o imporre un più efficente carico dei camion... La Corte dei Conti sta andando nella stessa direzione, proponendo "di non archiviare troppo in fretta l'alternativa di migliorare la linea esistente. Gli oppositori alla TAV Torino-Lione sottolineano che il 90% delle emissioni di CO2 in Savoia e Alta Savoia proviene da automobili e mezzi pesanti in transito nell’area regionale, contro il 10% prodotto dai mezzi pesanti sull’asse franco-italiano. "Non si tratta di non fare nulla, ma di fare qualcosa nell’immediato, a partire dagli investimenti nel trasporto pubblico locale” spiegano i No Tav.
Non sarebbe un investimento migliore per 11 miliardi di euro?

Interesse privato in atto pubblicoLo stesso giorno in cui la Corte dei Conti confermava una spesa superiore agli 11 miliardi di euro per la Francia, la commissione d'inchiesta dava il suo parere favorevole. Perché non ha rilevato alcuna riserva, quando l’aspetto finanziario è essenziale per il riconoscimento della pubblica utilità? Diversi conflitti di interesse macchiano il dossier. Nella sua relazione, la commissione d'inchiesta incoraggia fortemente RFF, la direzione lavori, a stipulare un contratto con una società che opera nell’ambito dei lavori pubblici diretta... dal fratello di uno dei membri della stessa commissione! Le Canard enchaîné, che ha rivelato la faccenda il 3 ottobre, indica che il costo di questa operazione potrebbe generare "un volume d’affari da 20 a 50 milioni di euro".
Gli avversari denunciano altri conflitti di interesse per i membri della commissione[2]. Anche il Presidente, Pierre - Yves Fafournoux, ha partecipato ai lavori della cintura ferroviaria di Lione (CFAL), la cui redditività dipende dalla realizzazione della TAV Torino-Lione [3]. “Come avere una valutazione imparziale dei progetti CFAL e Lione-Torino, avendo riscontrato in una recente disposizione un forte legame economico fra i due progetti di investimento, affidati alla stessa direzione lavori?” chiedono gli oppositori al progetto. Nella sua relazione del 5 novembre, infatti, la Corte dei Conti ricorda che i componenti della commissione non avrebbero dovuto “lavorare sul caso avendo conflitti d’interesse riguardo gli sviluppi del progetto stesso”. I No Tav chiedono l’annullamento del pronunciamento della commissione d’inchiesta.

Tre milioni di metri cubi di macerie ammucchiati nei paesiNel territorio francese sono già stati scavati tre tunnel di accesso e corridoi di perforazione, di cui uno a Villarodin-Bourget (Savoia). “400 mila metri cubi di materiale vengono stoccati nel territorio del nostro comune, dove non dovrebbe rimanere nessun tipo di scarto” si preoccupa il sindaco Gilles Margueron. “Con la costruzione della linea ferroviaria ci ritroveremo con tre milioni di metri cubi di materiale sul groppone”. Risultato: un paesaggio sfigurato, con conseguenze sull'attività economica e il turismo in paese. "Quando abbiamo chiesto che questo materiale di risulta fosse depositato più lontano, ci è stato detto che questo avrebbe aumentato le emissioni inquinanti del cantiere" ironizza il sindaco, disilluso.
Anche nel comune di Avressieux (Savoia) si chiedono dove saranno ammassati milioni di metri cubi di terreno. Alcune case del paese sono state distrutte, altre diventeranno invivibili. “I binari saranno costruiti a 100 metri dalla zona lacustre, per proteggere le rane” nota Richard Mangeolle, impegnato nel comitato locale di opposizione. "Francamente è meglio essere una specie protetta che un essere umano, per questo progetto! Frammentando i finanziamenti in tronchi,frammentano anche la lotta."

11 miliardi di euro per 3 000 precari I sostenitori della TAV annunciano fino a 30 000 posti di lavoro generati direttamente dal cantiere tra il 2014 e il 2021 [4]. Numeri rivisti al ribasso da Louis Besson, Presidente della Commissione Intergovernativa Lione-Torino: dopo aver promesso 10 000 posti di lavoro, ha ammesso che ne sarebbero stati creati soltanto 3 000. Vale a dire, in rapporto al costo del progetto, 3,7 milioni di euro per ogni posto di lavoro... Impieghi che dureranno solo il tempo del cantiere, mentre i posti di lavoro nel turismo e nell'agricoltura andranno persi. "La terra è lo strumento di lavoro dei contadini” ha dichiarato la Confederation Paysanne de Savoie e Haute-Savoie [Confederazione Agricoltori di Savoia e Alta Savoia], fermamente contraria al progetto. "Nel progetto Lione-Torino è in ballo la distruzione di complessivi 1 500 ettari di terreno, che eliminerà lungo il tracciato gli agricoltori e distruggerà le attività economiche e la vitalità del territorio”.
Questo fronte agricolo si è imposto alla fine di novembre con l’arrivo dei Giovani agricoltori e alla FDSEA [Federazione dipartimentale dei sindacati dei coltivatori diretti] che "confermano la loro posizione di rifiuto del progetto Lione-Torino e mettono in discussione le basi di questo progetto inutile.” Diverse organizzazioni ambientali si uniscono agli oppositori, come France Nature Environnement, che pure difende strenuamente il trasporto merci su rotaia. In una lettera chiedono al Ministero dell'Ecologia l’apertura di un dibattito pubblico sul trasporto alpino.
Europe Écologie Les Verts, il Parti de Gauche e gli eletti dell’Union Mouvement Populaire si preoccupano
Fra le fila del Partito Socialista restano irremovibili. “Sarebbe incomprensibile per la Francia rinunciare alla Lione-Torino, per la quale sono già stati stanziati 800 milioni di euro” protesta Jean-Jacques Queyranne, Presidente (PS) della regione Rhône-Alpes. Tanto vale spendere anche i 10,2 miliardi di euro che rimangono. Ciononostante, diversi eletti e partiti politici iniziano a preoccuparsi seriamente. Gli ecologisti della regione Rhône-Alpes, inizialmente favorevoli al progetto, hanno fatto inversione di marcia. “Le nuove infrastrutture fanno incetta di spazio, energia e fondi pubblici” dichiara Europe Écologie in un comunicato. “Devono essere in linea con i bisogni del presente e con quelli ragionevolmente stimabili per il futuro”. Il Parti de Gauche chiede una moratoria sul progetto. Dominique Dord, sindaco di Aix-les-Bains, deputato dell’UMP [partito di destra di Sarkozy, N.d.T.] eletto in Savoia, si domanda oggi se non ci siano stati "abusi di coscienza”. Ha chiesto a RFF un approfondimento riguardo l’ipotesi dell’aumento del traffico merci. “Se non è previsto nessun aumento, ma al contrario un leggero calo, considererei l’ipotesi di un abuso d’ufficio nei miei confronti da parte degli esperti.”

Un progetto “molto ambizioso”, “controlli inadeguati”, costi “in forte aumento” rispetto i preventivi, previsioni di traffico “riviste al ribasso”, una “bassa redditività socio-economica”, finanziamenti “non definiti”: queste le riserve della Corte dei Conti, rafforzate dal lavoro portato avanti dai componenti di No Tav. Se il progetto finora non è stato oggetto di nessun dibattito pubblico, François Holland dovrà comunque passare attraverso l’approvazione del Parlamento per ratificare l’accordo firmato fra Mario Monti e Nicolas Sarkozy nel gennaio 2012. Secondo l’italiano Paolo Prieri, “il problema che si pone non è soltanto quello di una linea ad alta velocità, ma anche quello di un grande progetto di pubblica inutilità”.

5 lezioni per l’Europa

Elections en Italie: 5 leçons pour l'Europe

di Fabien Cazenave
Pubblicato in Francia il 27 febbraio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli e per Il Fatto



Lo stallo dell’Italia riflette un rifiuto dell'Europa? Analisi del nostro collaboratore Fabien Cazenave, autore del sito europeo Le Taurillon

 I risultati delle recenti elezioni politiche in Italia sono stati una vera sorpresa. Nessuna maggioranza reale ed effettiva si è concretizzata e i due candidati più populisti sono arrivati secondo e terzo. Beppe Grillo e Silvio Berlusconi non solo hanno fatto discorsi irrazionali pieni di promesse populiste, ma hanno fatto dell’Europa l'obiettivo prioritario delle loro accuse. Gli elettori italiani li hanno ascoltati e hanno ignorato il super esperto europeo Mario Monti. La conclusione quindi è che era l'Europa il motivo principale del risultato elettorale italiano?

1 / Il rifiuto di un'Europa troppo complicataCome nel 2005 in Francia, gli elettori hanno voluto dire un grande “basta” [in italiano nel testo, N.d.T.] a un'Europa che non riescono più a capire. Come in Francia, l'Europa è stata il fulcro delle discussioni elettorali e i discorsi degli euroscettici sono stati molto più efficaci di quelli dei filoeuropei. Questa volta, l'Europa paga un discorso considerato come troppo favorevole all'austerità a discapito dei cittadini. Naturalmente, c'è una parte populista che parla dell’Europa come di colei che tutela i banchieri, le classi privilegiate, i mercati e gli interessi politici. Tuttavia, i risultati delle elezioni italiane dimostrano che il messaggio trasmesso dal referendum del 2005 non è stato recepito dalla classe politica europea.
Il fatto che i nostri capi di stato e di governo cooperino a livello europeo per combattere il deficit è cosa buona. Ma la mancanza di prospettive politiche forti e ambiziose, oggi diventa la vera debolezza del discorso europeo. Il bilancio europeo chiuso a tarda notte in occasione dell'ultimo Consiglio europeo di Bruxelles ne è un esempio eclatante. Gli investimenti in Europa sono stati ridotti per l'assenza di idee a livello europeo per rilanciare l'economia.
Se il messaggio inviato ai cittadini è quello di spiegare che non si può fare molto a livello europeo perché "è complicato", è logico che gli elettori daranno ascolto a coloro che parlano in maniera più comprensibile e coinvolgente, anche se poi questo va a scapito dell'idea europea.

2 / Mario Monti: la competenza non è più sufficienteIl risultato di Mario Monti in queste elezioni è stato estremamente deludente. Essere il Presidente del Consiglio italiano in carica e non riuscire a valicare la soglia del 10% è il segnale di un grande fallimento. Eppure l'Italia ha avuto in lui una guida seria, intelligente, che godeva della fiducia dei suoi omologhi a livello internazionale. Molti sono coloro che lo parleranno di lui come di un tecnocrate. Coloro che hanno letto il suo libro scritto in collaborazione con Sylvie Goulard dal titolo “Dalla democrazia in Europa” sapranno però che rappresenta molto di più. In questo libro, Mario Monti spiega molto chiaramente che qualsiasi decisione politica si deve assumere solo basandosi sul beneficio che ne trarrà la popolazione. Una posizione ben distante da quella che viene attribuita alla maggior parte dei tecnocrati. Del resto, il suo bilancio alla guida dell'Italia dopo la devastazione dei conti pubblici causata del precedente governo Berlusconi è stato notevole, ma non abbastanza per gli elettori.
Di fronte ai discorsi populisti degli estremisti, la prima risposta deve essere un'ambizione per l'Europa

3 / I veri europeisti devono coinvolgere i capi dei partiti politiciTutti i nostri leader politici oggi sono degli europeisti poco convinti . Fanno l'Europa perchè costretti, la considerano come un obbligo, piuttosto che uno strumento. La competenza non basta più. Pertanto per le prossime elezioni europee del 2014 occorre che i partiti politici tra le loro fila, candidino non gli esperti europeisti, non chi ha bisogno di essere ricollocato, ma i tedofori della fiaccola europea. Perché la prima risposta da contrapporre ai discorsi dell’estrema sinistra o dell’estrema destra, dovrebbe essere un'ambizione per l'Europa. I discorsi logici, a metà strada tra la salvaguardia degli interessi nazionali e il desiderio di fare piccoli passi avanti nella costruzione europea non soddisfano più gli elettori.

4 / Bisogna politicizzare l'EuropaConsiderare l'UE come un luogo neutrale dove esiste solo l'interesse generale europeo, è una finzione che gli elettori non desiderano più. Nel 2005 in Francia, gli europeisti di sinistra non hanno mai saputo trovare argomenti contro la campagna per il "no" [al referendum per la ratifica della Costituzione europea, bocciata dal voto contrario dei lavoratori, N.d.T.] della sinistra antieuropeista, secondo cui la Costituzione era di destra o neoliberale.
In Italia nel 2013, l'Europa di Bruxelles esiste solo per difendere gli interessi dell’austerità. Ma l’austerità non è un obbligo economico, è una scelta politica. Pertanto, è giunto il momento di interrompere il discorso di un José Manuel Barroso che ci spiega che rifiuta la politicizzazione fra destra, sinistra, centro ed ecologisti del Parlamento europeo, con il pretesto che bisogna far fronte comune contro gli euroscettici. Sono anni che si fannno questi discorsi, i sostenitori di questa visione dell’Europa devono ammettere di aver fallito.

5 / Stabilire maggioranze politiche chiareIn Italia, non era chiaro con chi Mario Monti avebbe governato. Questa mancanza di chiarezza ha dato maggior forza ai discorsi più coinvolgenti di Berlusconi e Grillo. Nel Parlamento europeo, ci ritroviamo nella stessa situazione, ossia quella in cui l'elettore non è a conoscenza in anticipo della maggioranza che va a votare. Infatti, a causa della rappresentanza proporzionale e il rifiuto dei maggiori partiti di allearsi sulla base di un programma comune, i partiti si sono frammentati e è venuta a mancare una maggioranza chiara. La Commissione europea ha avuto l'opportunità per darsi da fare nel suo ambito. Speriamo che i partiti politici europei nel 2014 sappiano delineare i contorni di maggioranze politiche chiare per gli elettori, in mancanza di una riforma elettorale (complicata da mettere in piedi) che permetterebbe di fare emergere naturalmente una maggioranza reale. Il fatto che i partiti politici europei saranno in grado di imporre il colore politico del futuro Presidente della Commissione dovrebbe semplificare l'Europa per i cittadini. In Francia si sa già che i socialisti e i verdi che arrivano primi, formeranno una coalizione in parlamento. Perchè non tentare questo schema a livello europeo, per esempio?

Queste elezioni italiane devono farci rendere conto che è giunto il momento di politicizzare l'Europa per renderla più leggibile agli elettori. Altrimenti avremo sempre persone scontente a forza di scendere a compromessi per tutelare i minimi interessi comuni. L'Europa nella sua globalità sarà giudicata dai lettori come responsabile dei loro malesseri, mentre si tratta soprattutto di mancanza di ambizione dei nostri governanti che si rifiutano di agire da leader europei. Politicizziamo l’Europa, i suoi avversari lo stanno già facendo e avanzano in ogni elezione proprio grazie a questo.

lunedì 11 febbraio 2013

La promessa “schock-flop”

La promesse «choc-flop» de Silvio Berlusconi

di Pierre de Guasquet
Pubblicato in Francia il 6 febbraio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli

Due giorni dopo la promessa del "Cavaliere" di rimborsare i 4 miliardi di euro pagati per l’Imu l’anno scorso, i primi sondaggi sembrano indicare che il 72% degli elettori ritiene tale iniziativa "non-credibile" Ma resta il dubbio...



L’ 'incantatore di serpenti' ha colpito nel segno. La sua “promessa shock” ha fatto tremare i mercati, ma gli italiani ci credono davvero? Due giorni dopo l'ultimo scoop di Silvio Berlusconi, con cui prometteva di restituire in contanti, ovvero sull’unghia, tutto quanto era stato incassato dall’IMU, imposta tanto disprezzata da gran parte dei suoi concittadini, la questione non pare sopita. Secondo i primi sondaggi pubblicati il giorno seguente all'iniziativa del leader del Popolo della Libertà, la stragrande maggioranza degli italiani rimane scettica. Ma resta il dubbio sull'impatto che tale promessa avrà sugli indecisi che rappresentano ancora un terzo abbondante degli elettori. "Provi a chiedere una casalinga italiana, se ha ha voglia di rimanere con l'uomo che l'ha tradita per diciotto anni!" ha annunciato Oscar Giannino, candidato liberale "graffiante" della lista "Fermare il Declino". Infatti, secondo un sondaggio Ispo del "Corriere della Sera", il 72% degli italiani ritiene molto semplicemente "non credibile" la promessa di Silvio Berlusconi di restituire il giorno dopo la sua vittoria, i 4 miliardi di euro provenienti dalle entrate fiscali raccolte da Mario Monti nel 2012 per l'IMU (per un costo di 8 miliardi di euro in due anni per lo Stato nel caso che l’imposta venga abolita nell’anno in corso).
Vicecersa, resta il paradosso di un elettorato sballottato da una lunga serie di promesse più o meno fattibili: solo il 57% dei votanti (contro il 38%) giudicano negativamente la proposta di rimborso della tassa immobiliare. Ciò viene confermato da un altro sondaggio Ipsos secondo cui il 24% degli italiani ritiene che Silvio Berlusconi sarà in grado di mantenere la sua promessa, contro il 67% che la considerano puramente "demagogica".

Scetticismo generale
Eppure, sono numerosi gli osservatori che giudicano l'impatto dell’operazione rimborso dell’"incantatore di serpenti" - come lo ha definito Mario Monti-, tutt'altro che trascurabile. "Egli è riuscito a catturare l'attenzione: tutti parlano della sua folle promessa demagogica", sospira un esperto di comunicazione. Secondo Renato Mannheimer dell’Ispo, se la promessa del "Cavaliere" è stata accolta con sconcerto da parte della maggioranza degli elettori, potrebbe comunque fare presa sugli indecisi. Nonostante lo scetticismo generale, i consensi per la coalizione di Silvio Berlusconi sono in crescita da due settimane, mentre risulta una lieve flessione del Partito Democratico di Pier Luigi Bersani. Secondo l'ultimo sondaggio Tecne, il 28,9% della coalizione di centro destra ha ridotto notevolmente la distanza dal centro-sinistra (32,9%), con una distanza ormai di soli quattro punti. "Sono sulla corsia di sorpasso", ha detto il "Cavaliere" con orgoglio.